In Sardegna un cittadino su due non è andato a votare alle elezioni regionali. La verità è che ormai i politici rappresentano solo stessi e le proprie clientele

di Giuseppe Messina

Tutto questo avviene a prescindere dai ‘colori’ politici

Quando il linguaggio politico non arriva dritto alla pancia del popolo e rimane asservito all’interesse lobbistico il risultato è il distacco abissale del rappresentante istituzionale dai reali bisogni dei cittadini. Così, ineluttabilmente, cresce la disaffezione verso la politica, con gli stessi cittadini che mostrano sprezzo e disinteresse nei confronti di una classe politica inadeguata e, in taluni casi, persino palesemente corrotta. La democrazia contemporanea è malata cronica, non riesce più a fornire un’adeguata risposta alle fasce socialmente svantaggiate e meno abbienti della popolazione. Non deve apparire strano quanto accaduto domenica 25 Febbraio in Sardegna, una Regione con 1.587.413 residenti. Nell’Isola hanno votato, nelle 1884 sezioni, 758.252 elettori che rappresentano il 52.4% degli aventi diritto al voto, che in totale sono 1 milione e 447 mila. In parole povere, un sardo su due non si è presentato alle urne per esprimere la sua preferenza esercitando il diritto del voto. Quasi 689 mila sardi hanno preferito restare a casa.

Metà della popolazione non va più a votare. Alle urne vanno, in massima parete, solo coloro i quali credono ancora nelle ‘segnalazioni’ e nelle ‘raccomandazioni’

È un trend che si ripete ad ogni tornata elettorale, nazionale, regionale o locale. E il risultato così mortificante per la democrazia prescinde anche alla formula elettorale. La disaffezione del cittadino è identica sia che i candidati vengano nominati dalle segreterie nazionali di partito, sia che vengano candidati con le preferenze singole. La democrazia, indubbiamente, è malata, incancrenita dalla radicale perdita di fiducia del cittadino che non la vede più come un mezzo di cambiamento e di emancipazione sociale. Emerge prepotentemente il tema della partecipazione e quello della cittadinanza. Aumenta progressivamente il disgusto, l’intolleranza verso la politica, rea di non impegnarsi più nel perseguimento del bene comune e di essersi pericolosamente separata dal territorio, dai problemi del cittadino e del mondo produttivo, dei lavoratori e dei giovani, delle donne e degli immigrati, dei pensionati e dei minori.

Si è ormai radicato il convincimento che la politica non può avere alcuna incidenza significativa sull’esistenza dei cittadini

Tali sentimenti attraversano trasversalmente tutto il Belpaese e si deducono chiaramente dalle cifre che ci siamo abituati a leggere sui giornali. Numeri che non riguardano soltanto l’astensionismo, ma il crollo delle adesioni ai partiti ed ai sindacati. Una sfiducia che tocca a tutti i livelli le Istituzioni democratiche. La disaffezione che porta a disertare le urne appare sempre più alimentata dal mancato interesse del cittadino nell’esercizio dei diritti politici, perché c’è il convincimento che non possano più avere alcuna incidenza significativa sull’esistenza dei cittadini. La democrazia malata è caratterizzata dalla presenza di una moltitudine silenziosa che va ad ingrossare le fila dell’esercito del non-voto e della non-partecipazione, soggetti che hanno perso qualsiasi speranza nella possibilità che la politica possa trovare soluzioni collettive ai propri problemi.

La nostra Sicilia sta pagando pesantemente le scelte comunitarie che hanno penalizzato i settori primari e trainanti per l’Isola come l’agricoltura e la pesca

Da ultimo, non va dimenticato il fatto che la politica, da anni, ha compresso gli spazi di discussione e decisione democratica nel territorio. Partiti che non celebrano un congresso da tempo immemorabile fanno da contraltare al distacco degli elettori. La formula delle primarie, dall’esito scontato, è una maniera fiacca ed evidentemente inefficace di coinvolgimento che non porta ad alcun risultato. Scetticismo e disillusione amplificati dai continui episodi di corruzione e malgoverno che riguardano sempre più sovente la classe politica. Fatti che alimentano l’indignazione e la reazione, come nel caso della “rivolta dei trattori” che stiamo vivendo. Sono segnali di crisi che colpiscono al cuore la nostra democrazia che sembra non essere più riconosciuta come strumento di cambiamento economico e sociale. Ci avviciniamo alla elezione europee dal cui esito deriverà una politica in continuità col passato, oppure un nuovo assetto che potrebbe cambiare radicalmente il rapporto con i cittadini e con il mondo produttivo. C’è il fondato dubbio che anche in questa occasione un italiano su due potrebbe decidere di protestare restandosene a casa. La nostra Sicilia sta pagando pesantemente le scelte comunitarie che hanno penalizzato i settori primari e trainanti per l’Isola come l’agricoltura e la pesca.

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