L’arrustuta delle sarde sugli ‘spiti’ in riva al mare a Sciacca alle sei del mattino dopo una nottata di pesca con i Ciancioli ovvero le reti per la pesca con le lampare

Ma che sono ‘ste sarde alla griglia? Le sarde vanno arrostire sugli ‘spiti’

Sulla rete – Internet e non le reti da pesca – abbiamo letto un articolo che magnifica le sarde alla griglia. Da sciacchitani antichi (e non ‘saccensi’, per carità: sciacchitani è più che sufficiente) ci siamo ribellati. Perché a Sciacca le sarde alla griglia non sono mai esistite. Le sarde, a Sciacca, secondo la tradizione dei marinai, si fanno arrosto sugli spiti. Chi su ‘sti spiti?, cosa sono questi spiti? Sono delle canne non più verdi ma già seccate dal sole dalle quali si ricavano bastoncini lunghi trenta-quaranta centimetri e larghi poco meno di un centimetro circa. Una delle due estremità dello spito viene modellato a punta con un coltello. E’ dalla parte della punta che le sarde vengono ‘infilzate’, avendo cura che lo spito rimanga sopra la lisca. Particolare importante: prima di iniziare la cosiddetta ‘infilzatura’ delle sarde, le stesse sarde vengono cosparse di sale e ‘arriminate’, ovvero mescolate con le mani. Non va usato il sale fino o fine, ma il sale un po’ più grosso: il sale che si usa per preparate le sarde salate (Sciacca è famosa per la salatura del pesca azzurro: sarde, alici, sgombri, un tempo anche le aguglie; qualcuno ha provato anche a salare i sauri o sugarelli ma non si prestano). Il sale grosso serve – così raccontavano i marinai – per ‘sgrassare’ le sarde. (sopra, sarde arrostite, foto tratta da InformaCibo)

Una tecnica antica

Vediamo come i marinai di Sciacca, la mattina alle sei, in Estate, arrostivano le sarde in riva al mare. Si faceva un piccolo fosso e si accendeva il fuoco con i legni trovati qua e là. Spesso erano le cassette di legno rotte che allora – parliamo dei primi anni ’70 del secolo passato – contenevano dieci chili di pesce ed erano piuttosto grandi. La scelta del legno è fondamentale: deve essere un legno che brucia in tempi brevi producendo la ‘carbonella’. Se la cosiddetta ‘arrustuta’ era per tre o quattro persone bastava un solo fuoco e le sarde si arrostivano là dove era stato acceso lo stesso fuoco, avendo cura di create un rettangolo di carbonella; nei lati maggiori del rettangolo andavano poste le pietre che dovevano servire per appoggiare gli spiti con le sarde ‘infilzate’ per la cottura. Se la mangiata era programmata per dieci o più persone – quindi un vero e proprio schiticchio – da una parte c’era il fuoco che andava sempre alimentato con nuova legna per avere sempre la carbonella pronta; a qualche metro dal fuoco si creava il rettangolo di carbonella rovente dove arrostire le sarde con le pietre deposte ai lati maggiori del rettangolo. Le sarde, come già ricordato, vanno ‘infilzate’ al centro, avendo cura di infilare lo spito sopra la lisca a testa e coda. E così vanno deposte sul fuoco, con le due estremità dello spito appoggiate sulle pietre. In questa prima fase di cottura lo spito di legno si trova sopra la lisca delle sarde. Quando la parte delle sarde in cottura è diventata bionda lo spito si gira e si procede alla seconda parte della cottura. E’ noto che quando la carne del pesce va in cottura diventa morbida e tende a sfaldarsi. Ma noi, nella seconda parte della cottura, abbiamo fatto in modo che lo spito si trovi sotto la lisca: e sarà proprio la lisca impedire che la sarda cada nel fuoco della carbonella nella seconda parte della cottura. A questo punto, si mangia. (sotto, il porto di Sciacca di sera, foto tratta da Malgrado tutto)

La vera ‘colazione’ a Sciacca: le sarde arrostite ancora roventi, la cipolla bianca a fette messa a bagno nell’acqua di mare e il vino bianco ghiacciato. Altro che cornetto e caffè! Il ricordo di mio cugino Giovanni

Due ricordi dello Stazzone primi anni ’70. Primo ricordo. La sera precedente l’arrustuta mattutina lo zio Salvino avvertiva me e il mio amato cugino Giovanni: “Picciutti, rimani matina ai sei ‘nfacci ‘u coccodrillo. Un diciti nenti a nnuddru“. Mai spifferato qualcosa alla nonna: ci avrebbe fatti nuovi. Svegliare mio cugino Giovanni la mattina presto non era facile: ma quannu c’eranu ‘i sardi arrustiti si susia chi paria ‘n’ariddru! Qualche lettore chiederà: sarde arrosto alle sei di mattina? A Sciacca si usa fare così. I pescatori andavano per mare a mezzanotte con i Ciancioli – la rete da pesca con le lampare – e tornavano al porto alle cinque circa. Alle sei, dopo aver venduto il pesce, erano in spiaggia ad arrostire. Punto. Alle sei io e mio cugino eravamo davanti al portone, giusto in tempo per vedere lo zio Salvino che scendeva le scale; abitavano nella stessa palazzina, noi al primo piano, porta accanto a quella della casa del mitico ‘zu Turiddru Marinello, proprio sopra la casa del dottore Alberti, che abitava al pianterreno; lo zio Salvino abitava al secondo piano. Lo zio si presentava ‘armato’ di due bottiglie di vino bianco ghiacciato e una ‘chilata’ di cipolle bianche private della buccia e pronte all’uso. Così ci avviavamo nel tratto di spiaggia quasi di fronte a ‘u coccodrillo, che non era altro che un segnale in ferro piantato a una ventina di metri dalla riva, tra gli scogli; indicava, per l’appunto, la presenza degli scogli alle barche ruliari che rientravano dalla pesca la sera o quando c’era nebbia (in un altro articolo racconteremo l’origine delle parole ruliari e pisci ruliari). Quando arrivavamo il fuoco era già acceso: il fuoco e, a un metro circa, la carbonella disposta a rettangolo, perché i commensali non erano mai meno di dieci, spesso anche di più.

Il signore che si occupava della pulizia delle strade dello Stazzone che si ‘arricampava’ a metà schiticchio – sette e mezza di mattina – e si ‘calava’ le sarde, ad una ad una, ingoiando testa, lisca e coda

Dobbiamo illustrare perché ‘a manciata ‘i sardi arrustuti avveniva in riva al mare. In primo luogo per comodità, perché l’acqua a tiro serve sempre. In secondo luogo perché le cipolle bianche fatte a fette venivano immerse in un grande cicarone (scodella piuttosto grande) in acqua di mare che a Giugno e a Luglio, allora almeno era così, a Sciacca non è fredda: è ghiacciata. Da qui il contrasto tra cipolla cruda fresca e la sarda calda. Meraviglioso! Il mare allora era pulito e si poteva fare. Le sarde arrostite venivano tolte dagli spiti e messe in un grande piatto al centro. Non con la forchetta, ma con le mani. Ognuno prendeva una sarda e mangiava, lasciando testa, lisca e coda pulite pulite. Mentre, a turno, i marinai si alternavano ad alimentare il fuoco, a sistemare la carbonella nel rettangolo e ad arrostire le sarde. Piano piano io e mio cugino Giovanni imparammo ad arrostire le sarde sugli spiti: e quello era spesso il nostro ruolo. Ruolo che ci piaceva, picchì cu sparti avi a megghiu parti. Mettevamo, in media, sette otto spiti di sarde sul fuoco e, appena cotti, sei finivano nel piatto centrale e due spiti di sarde finivano nelle nostre pance. Due scuole di pensiero: alcuni mettevano in bocca prima il pezzo di cipolla bagnato con acqua di mare e poi la sarda; altri invertivano l’ordine. Io e Giovanni ninni futtiamu e manciamavu comu vinia. Di vino, per noi, almeno all’inizio, non se ne doveva nemmeno parlare; a metà schiticchio, verso le sette e mezza di mattina, qualche mezza bicchierata arrivava: non di più, perché avevano otto-nove anni ed eravamo considerati ‘bambini’. Secondo ricordo. A metà schiticchio si arricampava il signore che si occupava della pulizia della strada. Era una persona amabile e allo Stazzone era benvoluto da tutti. Io e Giovanni eravamo, come dire?, conquistati dal modo come questo signore mangiava le sarde arrostite. Prendeva una sarda per la coda e piano piano l’andava masticando: prima la testa, poi il ventre e alla fine la coda. Una, due, tre, quattro… dieci venti sarde una dietro l’altra. Ogni tanto si ‘calava’ un pezzo di cipolla per “arrotondare la bocca”, ci spiegava. E naturalmente mandava giù un paio di bicchieri di vino. Una mattina Giovanni non se la poteva proprio tenere e gli chiede: “Scusi, ma lei mangia le sarde con tutte le spine?”. Risposta leggiadra di questo signore: “Spini? Picchi ‘ i sardi chi hannu spini?“.

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