Nel variegato mondo delle proteste il tema dei cambiamenti climatici è stato sostituito dalla guerra in corso a Gaza (dalla parte dei palestinesi)

di Nota Diplomatica

Perfino l’inimitalile Greta Thumberg si sta riposizionando in fretta con l’occhio rivolto alla Palestina

È interessante notare come il trambusto scoppiato all’interno dei campus universitari di mezzo mondo per la guerra in Palestina sembri aver fatto passare improvvisamente in secondo – forse terzo – piano l’intensa preoccupazione degli ultimi anni per il tema del cambiamento climatico. Il clima continua a fare quello che vuole, ma tutto ad un tratto non è più in cima alla lista delle ‘cause’. Perfino l’inimitabile Greta Thunberg (foto sopra, tratta da Wikipedia)si sta riposizionando in fretta, come rivela un suo commento recente su Gaza: “Non può esserci giustizia climatica nei territori ‘occupati’ (da Israele ndr)” ha detto, proseguendo poi con un intervento imperniato tutto sulla Palestina anziché sulla ‘net zero’, l’obiettivo ecologico massimo – quasi mistico – in cui i gas serra immessi nell’aria dovrebbero essere bilanciati da una quantità equivalente di inquinanti rimossi dall’atmosfera – una proposta accademica ‘nobile’ nell’intento, ma quasi certamente non raggiungibile nei fatti.

La stanchezza per il riscaldamento globale

Era inevitabile che l’emergenza climatica – almeno sotto l’aspetto modaiolo – dovesse cominciare ad appassire prima o poi. Indipendentemente dai fatti concreti relativi al riscaldamento globale, questo ‘movimento’ era nato dall’ulteriore evoluzione di una precedente tendenza, la ‘anti-globalizzazione’, in sé già un’espressione di rifiuto generalizzato della ‘ modernizzazione’: cioè, del mondo che si trova fuori dalla porta di casa, pieno di volgarità, di plastica, di persone e di classi sociali che hanno più soldi e più cose di noi – una situazione per definizione ‘ingiusta’. A dire il vero, l’eccitazione sul tema del cambiamento climatico aveva iniziato a scemare già da tempo tra grandi pronunciamenti sempre più apocalittici. Una sorta di ‘picco’ era stato raggiunto nei primi mesi dell’anno scorso, quando i climatologi associati all’IPCC- Intergovernmental Panel on Climate Change – fecero uscire un documento che caratterizzavano allora come il loro final warning,“l’avvertimento finale”. Secondo la relazione, solo azioni “immediate e drastiche” avrebbero potuto salvare il mondo, ormai quasi irrimediabilmente compromesso a causa delle continue emissioni di gas serra. Il Segretario Generale dell’ONU, António Guterres, ha commentato il documento degli scienziati, dichiarando: “Questa relazione è uno squillante richiamo alla necessità di dare la massima priorità al problema climatico in ogni Paese e in ogni settore e nei tempi più stretti possibili. Il nostro mondo ha bisogno di azione sul clima su tutti i fronti: everything, everywhere, all at once!

Quando si grida troppo ‘al lupo’…

Poi, in sostanza, non se n’è fatto praticamente niente. La strombazzata barriera politica all’aumento della temperatura media mondiale di oltre 1,5C sarebbe già in via di radicale superamento in molte parti del globo. Forse il problema è il troppo gridare ‘al lupo!’. Se si urla troppo e poi l’animale non si presenta – almeno in tempi abbastanza brevi – allora dopo un po’ si passa ad altro. Nel caso, il movimento studentesco internazionale è passato dal clima a Gaza e dalla parte dei palestinesi.

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