La Sicilia dei Florio senza mafia? E Crispi, l’omicidio Notarbartolo e l’onorevole Raffaele Palizzolo dove li mettiamo? Sotto il tappeto?

La televisione celebra i Florio. E qua e là leggiamo che la mafia non è presente. E’ proprio così? Vediamo cosa dicono i fatti. E pazienza se, ancora una volta, vestiremo i panni dei soliti nimici ra cuntitizza

Lo sappiamo, ora diranno che siamo i soliti nimici ra cuntitizza. Va bene, ce ne faremo una ragione. Ma fare passare la tesi che i Florio non abbiano avuto rapporti con la mafia ci sembra un po’ azzardato. Il riferimento è alla nuova serie televisiva I Leoni di Sicilia. La serie è tratta dal libro I Leoni di Sicilia che non abbiamo letto. Questo romanzo, così abbiamo ‘naschiato’ nelle presentazioni, racconta la parabola dei Florio, una famiglia di origini calabresi, per la precisione di Bagnara Calabra, che darà vita in Sicilia, con baricentro a Palermo, a un impero economico che si dissolverà all’ombra del giolittismo, ovvero di un’Italia intenta a far crescere economicamente il Nord a spese del Sud. C’entra la mafia con i Florio? E’ giusto, come leggiamo, dire che con i Florio si racconta la storia di una Sicilia senza mafia? Proviamo a fare parlare i fatti. Con una precisazione: avere rapporti con i mafiosi non significa, per forza di cose, essere contigui con la mafia o, peggio ancora, mafiosi. Ma il problema è sempre esistito, tant’è vero che la Giurisprudenza, a un certo punto, ha messo in campo un reato subito contestato non senza buone ragioni: il concorso esterno in associazione mafiosa. Ma andiamo ai fatti.

La famiglia Florio era legata a Francesco Crispi. E questo già la dice lunga su questa dinastia imprenditoriale

Cominciamo col dire che la famiglia Florio era molto legata a Francesco Crispi, forse il peggiore politico siciliano della storia della Sicilia post ‘presunta’ unificazione, il primo di una lunga serie di ‘ascari’, ovvero politici siciliani che hanno svenduto la nostra Isola ad interessi estranei alla Sicilia. Già questo la dice lunga sui Florio. Essere legati a Crispi, in quegli anni, significava essere vicini ai personaggi siciliani che ruotavano nel giro dello stesso Crispi: e non erano belle persone: anzi. Tra questi personaggi c’era Raffaele Palizzolo, esponente di spicco della borghesia mafiosa. Palizzolo è noto per il suo coinvolgimento nell’omicidio di Emanuele Notarbartolo, marchese di San Giovanni, garibaldino, Sindaco di Palermo dal 1873 al 1876 e poi direttore del Banco di Sicilia. Leggiamo su Wikipedia: “Il consiglio d’amministrazione del Banco è composto principalmente da politici, molti dei quali legati alla mafia locale (il riferimento è al bando di Sicilia di fine ‘800 ndr). È affiancato in particolare dal parlamentare Raffaele Palizzolo, con il quale ha già avuto non pochi screzi a causa delle speculazioni avventate da lui messe in atto. C’è addirittura il sospetto che sia il mandante del sequestro messo in atto ai danni del marchese nel 1882 mentre si trova nei suoi possedimenti a Caccamo, per il quale Notarbartolo è costretto a pagare un riscatto di 50.000 lire”. Nel 1888 Palizzolo viene catapultato nel consiglio d’amministrazione del Banco di Sicilia, proprio quando direttore generale è Emanuele Notarbartolo. La nomina di Palizzolo ai vertici della più grande banca isolana non è casuale. Cosa hanno in testa Crispi e la sua banda siciliana?

Il Banco di Sicilia, Emanuele Notarbartolo e la cricca crispina dell’onorevole Raffaele Palizzolo

Lo si capirà due anni dopo, quando Notarbartolo viene mandato via dai vertici del Banco di Sicilia. Strada spianata a Palizzolo e ai suoi maneggi. Uno di questi maneggi era favorire con operazioni spregiudicate e funamboliche una delle maggiori compagnie di trasporti dell’epoca: la Navigazione generale italiana. E chi c’è dietro questa compagnia di navigazione? Ignazio Florio. Ma, come si usa dire, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Che tradotto significa: è facile combinare pasticci ma non sempre si riesce ad evitare le conseguenze. Così mentre a Palermo sono in corso i maneggi di Palizzolo e compagni, a Roma esplode lo scandalo della Banca Romana di Bernardo Tanlongo. Succede nel 1892. Gli echi di questo scandalo sono enormi, Luigi Pirandello ne parlerà nel suo romanzo I vecchi e i giovani. Con lo scandalo della Banca Romana, che sfiorava anche Crispi, vuoi o non vuoi, ci si interroga sulle altre banche italiane. E si scopre che certe ‘pastette’ bancarie sono molto comuni. Così la cricca crispina panormita capeggiata dall’onorevole Raffaele Palizzolo che fa il bello e il cattivo tempo con i forzieri del Banco di Sicilia è presa dal terrore. Si vocifera che a mettere ordine nei conti del Banco di Sicilia potrebbe tornare Emanuele Notarbartolo. E allora? E allora la parola passa alla mafia. Che l’1 Febbraio del 1893 eseguirà il primo delitto eccellente uccidendo su un treno diretto verso Palermo Emanuele Notarbartolo.

L’assassinio di Notarbartolo e i tre processi. Con il finale a Firenze che culminerà nell’assoluzione di Palizzolo. Con la trionfale accoglienza dello stesso onorevole Palizzolo nel porto di Palermo. Con la presenza anche di Giuseppe Pitrè

Non è un delitto perfetto. Tante storie su Palizzolo e compagnia bella erano già note. Alla Polizia, alla Magistratura e al figlio del marchese assassinato, Leopoldo Notarbartolo. Che scriverà un memoriale che, anni dopo, verrà pubblicato dalla casa editrice siciliana Novecento con il titolo La città cannibale. Raffaele Palizzolo viene accusato di essere il responsabile dell’omicidio Notarbartolo. Ci sarà un processo a Milano e poi un processo a Bologna. Al processo di Bologna, tra i testimoni a discarico in favore dell’onorevole Palizzolo ci sarà Ignazio Florio. Questo è un elemento fondamentale: tutti a Palermo sapevano chi era Raffaele Palizzolo, testimoniare in suo favore non è il massimo. Palizzolo si becca una condanna a trent’anni di galera. La reazione della famiglia Florio non si fa attendere. Vede la luce il ‘Comitato Pro Sicilia e Pro Palizzolo’. L’associazione Sicilia-Palizzolo è importante, perché segna l’inizio, come dire?, di uno stile di difesa che nell’Isola diventerà il motivo conduttore negli anni successivi: la mafia un’invenzione per denigrare la Sicilia, si processano i galantuomini e bla bla bla. La famiglia Florio, che nel 1900 ha fondato un quotidiano – il L’Ora – darà battaglia in difesa di Palizzolo. Nel terzo processo, che si celebrerà a Firenze nel 1904, Raffaele Palizzolo verrà assolto. A Palermo sarà grande festa. Sebastiano Vassalli, nel romanzo Il cigno, racconta che tra le tante personalità di spicco che si recano al porto ad accogliere festanti Raffaele Palizzolo, l’uomo in bilico tra il Parlamento italiano e la mafia, c’è anche Giuseppe Pitrè, il medico palermitano fondatore della Demopsicologia, studioso delle tradizioni popolari, molto noto ancora oggi e osannato anche allora. Nato nel 1841 nel quartiere del Borgo di Palermo, famiglia povera, preso in carico dai gesuiti che gli fecero conseguire la maturità classica, laurea in Medicina, Giuseppe Pitrè sarà giovane garibaldino guarda caso insieme con Crispi, poi sulle barricate nella rivolta del Sette e mezzo del 1866 dalla parte di casa Savoia contro la quale era scoppiata la rivolta e poi medico e grande e apprezzatissimo studioso di tradizioni popolari. E al porto della città, nel 1904, ad accogliere Raffaele Palizzolo. La storia di Palermo – compresa quella dei Florio – è complicata. Non è tutto bianco o nero. Ci sono tante sfumature, che circondano e accompagnano mafia e mentalità mafiosa. Magari ne parleremo un’altra volta.

Foto tratta da Viaggi Sicilia

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