La vogliamo raccontare una buona volta e per tutte la verità sulla Corte dei Conti e sugli strani disavanzi della Regione siciliana? Proviamoci

di Massimo Costa

Siamo in presenza di un gioco pirandelliano, che va quanto meno spiegato ai non addetti ai lavori in modo divulgativo

La Corte dei Conti “siciliana” (meglio: le “sezioni riunite etc.”) (foto sopra) boccia di nuovo il Rendiconto della Regione dell’ormai lontano 2020, caso unico in Italia, obiettando che la distribuzione del Disavanzo sui successivi 10 anni non sarebbe legittima, ma che il disavanzo straordinario emerso nel 2018 (più di un miliardo), si deve ripianare in un massimo di tre anni… costi quel che costi… Sul punto pende una sentenza della Corte Costituzionale, e voglio premettere tutto il mio rispetto per i Giudici, sia della giustizia contabile, sia di quella costituzionale, anche quando legittimamente se ne possono criticare ordinanze e sentenze. Siamo in presenza però di un gioco pirandelliano, che va quanto meno spiegato ai non addetti ai lavori in modo divulgativo. Mi perdonino giudici e giuristi se semplifico didatticamente qualche passaggio, ma resto attinente al vero. (sotto, foto del professore Massimo Costa)

Se certi ‘controlli’ creano problemi alla società siciliana, come lo smantellamento della sanità pubblica, ebbene, allora nel sistema c’è qualcosa che non va

La giustizia contabile è utilissima, e quanto mai necessaria. Il funzionario pubblico, se non controllato, non mostra nessuna sollecitudine nel coltivare gli interessi economici dell’ente per il quale opera. Siamo in presenza di banche pubbliche regionali del settore cooperativo piene di sofferenze, per non aver vigilato sul proprio credito, istituti di case popolari che non fanno nulla per incassare i già modesti canoni che spettano loro, e tante altre manifestazioni di malcostume, nell’uso di fondi pubblici, sulle quali la magistratura contabile avrebbe tanto lavoro da fare. Tuttavia questo obiettivo non va confuso con quello di paralizzare ogni e qualsiasi forma di spesa pubblica, anche quando questa spesa serve per garantire servizi pubblici essenziali e un minimo di coesione sociale. Si è fatto un grande, grandissimo parlare in questi anni di trasformare l’amministrazione della cosa pubblica da un fatto adempimentale e formale a uno sostanziale di raggiungimento degli obiettivi. Ma se poi i controlli non vanno mai alla sostanza delle cose, e si beano nel trovare il “cavillo che blocca tutto”, incuranti del fatto che questo possa significare la chiusura di ospedali e scuole, e beh, in tal caso c’è qualcosa di malato nel sistema, qualcosa che non va.

Nel 2015 la Regione siciliana regala allo Stato circa 10 miliardi di euro di residui attivi che vengono cancellati e che generano un disavanzo di 6 miliardi che la Regione si impegna a ricoprire in 30 anni. Tutto inizia da lì

Nello specifico la magistratura contabile siciliana è stata dotata di sezioni staccate, come nelle altre autonomie speciali, a tutela specifica dell’Autonomia, rispetto ad una giustizia centrale che sarebbe potuta non essere “terza”, ma sbilanciata a favore degli organismi centrali. Per questa ragione la nomina dei relativi magistrati sarebbe dovuta avvenire di comune accordo, in modo che il Magistrato della Corte dei Conti siciliana non rappresentasse né l’interesse della Regione, né quello dello Stato, ma, idealmente, quello dei cittadini residenti in Sicilia, essendo dotato della massima indipendenza. E sarà pure così, però a guardare quello che succede non si direbbe. Spieghiamo la vicenda terra terra. Nell’agosto 2015 l’allora presidente della Regione, Rosario Crocetta, con il voto del Parlamento dell’Isola, con la scusa dell’armonizzazione contabile, regala allo Stato, senza darne alcuna motivazione, circa 10 miliardi di residui attivi che vengono cancellati e che generano un disavanzo di 6 miliardi che la Regione si impegna a ricoprire in 30 anni. Tutto inizia da lì. Cioè, spieghiamolo ancora più facile. A Giugno 2015 la Regione approva il rendiconto del 2014, e la Corte dei Conti lo approva. Quindi attesta che tutti i residui attivi in esso contenuti sono veri e reali. Due mesi dopo, con il riaccertamento straordinario dei residui, questi miliardi di crediti, per le tasse che nel tempo lo Stato aveva incassato al posto della Regione, vengono cancellati con un colpo di bacchetta magica. E lì, capita, la Corte dei Conti che poco prima li aveva asseverati, non se ne accorge, o comunque non ha nulla da obiettare. La stranezza è che il residuo è cancellato senza che questa cancellazione venga chiesta dallo Stato in modo formale, e persino senza motivazione alcuna. Sono cancellati e basta.

E’ bene sottolineare che 5 milioni di siciliani stanno restituendo due volte allo Stato un debito della Regione creato dallo stesso Stato

Ma non basta. Che si regalino, per ragion di Stato, 10 miliardi di euro dalla Sicilia all’Italia, nel rapporto di forze che c’è oggi, per quanto bestiale, ci può anche stare. Ma c’è di più. Lo Stato non sono vuole abbonato il debito ma, trasformato in disavanzo della Regione, lo vuole restituito di nuovo sotto forma di rientro dal disavanzo nel giro dei successivi trent’anni. Lo Stato, quindi, lo vuole restituito due volte. Una prima volta come cancellazione del debito, una seconda come sua trasformazione in credito. E già questo griderebbe vendetta. Ma la Corte, capita, non si accorge di questa aberrazione o non ha nulla da ridire. Altra anomalia. Il credito che veniva cancellato era anche molto risalente. La Regione vi aveva sopperito nel tempo in altro modo. O aveva tagliato qualche servizio, o aveva contratto dei debiti che poi aveva pagato. In altri termini, se avesse incassato quei crediti, avrebbe certamente disposto di risorse in più che avrebbe potuto destinare agli infiniti bisogni dell’Isola. Ma non incassandoli più non ne riceveva un male specifico. In altre parole, come poi sarebbe stato attestato da una commissione tecnica istituita la legislatura dopo (sotto la presidenza della Regione siciliana di Nello Musumeci, foto sotto tratta da Affaritaliani), a quel disavanzo di 6 miliardi non corrispondeva alcun debito reale da ripianare. La sottrazione di questa cifra, pertanto, e la sua attribuzione allo Stato, non avrebbe avuto alcuna ragion d’essere. Ma nessuno, ancora una volta, se ne accorge, e comunque nessuno prende provvedimenti.

Il disavanzo di un miliardo di euro del 2018. Prima congettura

La Sicilia diventa dall’oggi al domani una sorta di ‘Paese tributario’ dell’Italia che non solo deve vivere con una frazione del gettito tributario raccolto nell’Isola, ma ne deve dare una cospicua parte allo Stato ‘protettore’. Voi direte: sì, questa storia del 2015 la conosciamo, ma qui si sta parlando di un nuovo disavanzo, “spuntato” nel 2018. Se la Regione fa sempre disavanzi lo Stato che colpa ha? Non è così. Il disavanzo del 2018, esploso tra le mani di Musumeci, è strettamente legato a quello creato artificialmente dal Governo Crocetta. Da cosa nasce infatti il disavanzo del 2018? Intanto dobbiamo dire che… non si sa esattamente. I dati del disavanzo straordinario del 2015 sono stati pubblicati, e sappiamo che nasce da un grandissimo regalo dai cittadini siciliani allo Stato. Quello del 2018 qualcuno lo saprà, e spero che la Corte dei Conti abbia fatto indagini in tal senso, anzi ne sono sicuro, ma noi no. Cioè, in altri termini, la Regione aveva crediti per più di un miliardo “non si sa verso chi”, ma si sa che questi crediti, a un certo punto sono stati cancellati. Sarebbe interessante sapere chi sono i beneficiari di questo dono, visto che sono soldi nostri. Ma non si sa, spero che la Corte dei Conti lo sappia. Possiamo solo fare congetture. Una congettura è che (da qui il legame con il 2015), avendo dovuto Crocetta tagliare la gamba sana (crediti veri verso lo Stato), per non manifestare un disavanzo troppo sproporzionato (già 6 miliardi erano troppi) ha evitato di tagliare, come avrebbe dovuto, la gamba malata. Ma trattandosi di crediti, già inesigibili allora, cioè nel 2015, prima o poi la gamba malata sarebbe andata in cancrena, e sarebbe toccato a Musumeci amputarla. Se così è, se così fosse, ci sarebbero responsabilità gravissime del precedente Governo regionale, che però la Corte dei Conti non ha ravvisato, capita, e comunque, nella sostanza, si sarebbe trattato di nient’altro che di un riaccertamento straordinario dei residui e non di un riaccertamento ordinario, e che quindi avrebbe dovuto subire la stessa rateizzazione trentennale di quello emerso nel 2015. Altro che 10 anni! La Corte doveva riconoscere l’errore del 2015, e consentirne la spalmatura su pari intervallo di tempo.

Il disavanzo di un miliardo di euro del 2018. Seconda congettura

Un’altra congettura, invece, è che il disavanzo sia veramente nuovo, e di esso ci sia un misterioso o più misteriosi beneficiari, sui quali si sarebbe dovuto e potuto indagare senza indugio. Un fondato sospetto potrebbe essere che si tratti di ulteriori ‘regali’ allo Stato, come se i precedenti non fossero bastati. E se così fosse sarebbe gravissimo, perché si sarebbe trattato di un taglieggiamento, di un ricatto, di un’estorsione che lo Stato avrebbe fatto ai danni dei cittadini dell’Isola. Tertium non datur. In entrambi i casi la Corte avrebbe dovuto o potuto eccepire qualcosa. Di fronte a questo nuovo disavanzo esploso (o imposto da Roma? Ad oggi non sappiamo), che fanno Musumeci e l’allora assessore regionale all’Economia, Gaetano Armao? Si vanno a negoziare a Roma, e presentano a Palermo come un trionfo, il fatto di avere “spalmato” su dieci anni questo nuovo disavanzo. A questo punto si sveglia “chi per lungo silenzio parea fioco”. La Corte dei Conti, che fino a questo punto non ha notato nulla di irregolare, trova che questo accordo Stato-Regione viola la riserva di legge perché si possa spalmare il disavanzo. Anche a questo disavanzo non corrisponde alcun debito? Non si sa. Può essere.

L’accordo-capestro tra l’attuale presidente della Regione, Renato Schifani, e i Ministri leghisti. Il ricorso del Codacons al quale non è ancora stata data risposta

Ha ragione la Corte in punta di diritto? Sì, Musumeci e Armao sono stati quanto meno ingenui o non abbastanza avveduti nel non prevedere questo “stop” al Rendiconto del 2020, su cui si spalmava parte del suddetto nuovo disavanzo. Va bene, ci sta, ringraziamo la Corte per l’attento formalismo, anche se ci sarebbe piaciuto vederla più presente anche nei fatti precedenti che lo avevano causato. Cosa fa dunque il presidente della Regione, Renato Schifani, che nel frattempo è succeduto a Musumeci? Si va a negoziare una legge con lo Stato: “Caro Stato, tu mi hai promesso di spalmare il debito, ma la TUA Corte dei Conti dice che per farlo ci vuole una legge, me la fai dunque questa legge?”. Risponde lo Stato, che ora ha il volto poco rassicurante di due Ministri leghisti, Giancarlo Giorgetti (Ministro dell’Economia) e Roberto Calderoli (Ministro per gli Affari regionali e le Autonomie): “Cara Regione, io la legge te la faccio, ma non te la faccio ‘gratis’. Ti faccio pagare un ‘pizzo’. Tu devi rinunciare a tutte le accise petrolifere che ti spettavano e che non ti ho mai pagato, dal 2007 al 2021, ti do 200 milioni per chiudere il 2022, e poi dall’anno nuovo ti darò qualcosa per il Fondo sanitario regionale, ma a quella quota di accise petrolifere devi rinunciare per sempre. Lo so che così stai rinunciando a circa 8 miliardi e mezzo di euro, ma sai? Tu hai bisogno di me per chiudere i bilanci, e io ti posso mettere i piedi di sopra”. E così è andata. Legge fatta, altra rinuncia multimiliardaria di risorse per la Regione e si va avanti. Il Codacons Sicilia se ne accorge e non ci sta. Denuncia alla Corte dei Conti che questo accordo viola questo e viola quello e soprattutto oltraggia ancora una volta i Siciliani. Il ricorso è del Marzo 2022, che io sappia la Corte non ha mai risposto, neanche per dire che il procedimento era archiviato. In altre parole non solo non si accorge di questo ulteriore scippo, ma, pur sollecitata, non interviene.

Una Giustizia a senso unico contro la Sicilia

E arriviamo alla fine del 2023. Ora, dopo non aver fatto null’altro che intervenire una volta per bloccare il documento consuntivo della Regione, interviene di nuovo. Torna di nuovo sul Rendiconto 2020 e dice che no, anche se ora la legge c’è, non va, perché sarebbe stata attuata prima che fosse entrata in vigore o qualcosa del genere. Non seguo la Corte e non so se ha legalmente ragione, voglio concedere di sì. Ma è certo che ancora una volta questo formalismo farisaico viene usato sempre e comunque per mortificare la Regione e non andare mai alla sostanza delle cose. La Corte ignora forse che bloccando e cercando di riscrivere il consuntivo del 2020, automaticamente saltano tutti i preventivi successivi? La Corte ignora che lo Stato, a forza di abusare della sua posizione di forza nei confronti della Regione, sta rendendo impossibile a questa l’esercizio di funzioni sociali essenziali? La Corte non pensa che il “danno erariale” potrebbe scaturire non solo da una spesa non coperta, ma anche, e forse soprattutto, dall’interruzione di un servizio pubblico essenziale, giacché un minimo di coesione economica e sociale è necessaria anche nella derelitta Colonia Sicilia, di cui, vivaddio!, sono figli anche loro? Che se ne ricordino ogni tanto. Ma perché su tutte le ruberie dello Stato contro di noi, non girano mai un foglio, non indagano su nulla, non sanno e non vedono niente, mentre ogni occasione per bloccare o colpire la Sicilia è perseguita senza pietà? È più facile colpirci in quanto più deboli? È questa la giustizia? La Sicilia, come sempre, è sotto attacco. La non notizia è che non c’è nessuno che la difenda. E la Sicilia non è un concetto astratto. Siamo noi, a uno a uno, cui viene negato tutto, e che siamo condannati ad una cittadinanza di serie Z. Almeno finché continuerà la lunga agonia dell’abbraccio con l’Italia.

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