Oggi ricordiamo San Francesco d’Assisi, per tutti il ‘Poverello’ restauratore delle chiese. Parlò con il Lupo a Gubbio, e lupi del suo tempo ne addomesticò tanti

di Frate Domenico Spatola

“In focu l’amor mi mise”, in giro raccontava per le campagne e i boschi, ormai con la libertà degli uccelli che chiamava fratelli

Per tutti il “Poverello”. Fu la sua scelta. Lesse nel Vangelo, del “giovane amato”, che rifiutò l’invito di farsi povero per seguire Gesù. Francesco corrispose. Vendette tutto. Ma Pietro Bernardone, suo padre, non fu d’accordo e volle indietro ciò che, a suo dire, Francesco gli avea rubato. Dinanzi al vescovo Guido. Gli restituì anche i panni che indossava e si dichiarava finalmente libero per la nuova paternità: Dio era suo padre! “In focu l’amor mi mise”, in giro raccontava per le campagne e i boschi, ormai con la libertà degli uccelli che chiamava fratelli. Cercò i lebbrosi per servirli, e delle chiese si fece restauratore. A San Damiano Cristo dalla Croce gli parlò: “Ripara la mia Chiesa” e il Papa lo sognò gigante sostenere con sue spalle il Laterano. Lo seguirono i compagni. Dodici in coerente “Conformità con il Cristo” e Rivotorto tugurio fu il rifugio da dove furono cacciati, e per altra meta raminghi: le Carceri, San Damiano e la Porziuncola. Qui consacrò la sua pianticella, Chiara e le “povere Dame” a mistiche nozze e ancora qui tra frasche istruì il Capitolo, appunto “delle Stuoie” perché con celle di stracci. Cinquemila i frati, che volle “Minori”, nel 1221, e da ogni parte venuti e, dal Portogallo, ancora anonimo frate Antonio da Lisbona.

“Greccio rinnovò Betlemme, e sulla Verna nell’Aretino si riprodusse il Calvario”

Francesco chiese cibo per i suoi. La mensa del Signore, di uscio in uscio, fu la lezione che spaventò Papa Innocenzo III. Ma per lui Francesco intonò il cantico del “Padre provvidente che nutre gli uccelli e veste i gigli dei campi”. Parlò con il Lupo a Gubbio, e lupi del suo tempo ne addomesticò tanti. Con l’approvazione della Chiesa, mise al riparo dalla eresia i suoi frati e li inviò ad evangelizzare. Scrisse la Regola, a Fonte Colombo, nella Valle Reatina, teatro delle sue scorribande apostoliche, e del Vangelo la Regola fu detta “medulla”. Ne richiese ai frati osservanza “sine glossa”, e l’Eden fu ritrovato in spazi di sua utopia per mistici percorsi ascensionali. Greccio rinnovò Betlemme, e sulla Verna nell’Aretino si riprodusse il Calvario. Parve a tutti l’Altro Cristo, con stesse sue piaghe, ormai monili. Navigò per Damietta in Egitto, a offrire modello altro delle Crociate. Parlò con Malik al Kàmil, il sultano, e si lasciarono col bacio di pace, avendo insieme cercato il Padre che unisce. Sognante, trasse il Cantico dalle Creature e lo rivolse al Creatore in polifonia d’universo. “Frate Sole iocundo; frate Focu che allumina la notte; frate Vento et l’Aere; sora Luna et sorelle Stelle clarite; sora Acqua umile, pretiosa et casta”. Financo la Morte gli parve “sorella che non fa male”. Per il congedo serbò il finale alla Terra, “madre che nutre, con fructi copiosi et herba”.
Era il 3 ottobre 1226, e Francesco veleggiò verso l’eternità.

Transito di San Francesco d’Assisi

È detto “Transito” e come tale ogni anno è ricordato dai Francescani il momento della morte del Fondatore. Il vano adiacente alla Porziuncola, la più cara sua dimora, era affollato. I Frati erano quella volta silenziosi e più di uno con il volto rigato dalle lacrime, impotenti ad eludere l’evento. Francesco stava per emigrare con l’ultimo stormo di uccelli di quella sera. Indimenticabile. Giaceva sulla nuda terra, avendo rifiutato il pagliericcio. Voleva assomigliare, anch’egli nudo, al nudo Crocifisso, ma non gli fu concesso. Rivestito del saio, obbedì per l’ultima volta al fratello generale, Elia Bombarone, accanto a lui. Il silenzio surreale era più frequentemente interrotto da qualche singhiozzo. Si riuscì comunque a udire la voce del Santo, che flebile invitava alla fedeltà a Cristo e alla Chiesa. “Egli vi insegnerà. Io ho fatto la mia parte” sussurrava. Presentiva i pericoli cui storicamente sarebbero andati incontro i suoi figli. Risuonò, a sua esplicita richiesta, il racconto della lavanda dei piedi, secondo il Vangelo di Giovanni. In un sussulto Francesco, provò ad alzarsi, per emulare Gesù. Sufficiente il desiderio. A lui accanto, come assistenti, erano Frate Elia e frate Leone. Due anime che interpretavano in modo diverso il carisma di. Francesco. Ma si combatteranno, e questo Francesco non voleva. Fiducioso in Gesù gli affidò i figli. Le forze frattanto si affievolivano, e sorella Morte faceva capolino con le chiavi del paradiso in mano, come il Santo l’aveva dipinta ai Frati. Filtrava tra i rami il raggio di fratello Sole, era il suo ultimo bacio per l’amico Francesco, perciò quella sera si attardava a tramontare. Le allodole tubarono forte, in perdurante dedizione a volargli all’intorno. Francesco, ormai fioco lo sguardo, provò l’istantanea su tutti i figli a custodirli in cuore, e poi spiccò il volo, e fratello Sole poté tramontare. Era il vespro del 3 ottobre 1226. Un sabato, nell’ora in cui iniziava la domenica, la Pasqua del Signore.

Foto tratta da Avvenire di Calabria

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *