Una puntata di ‘Piazza Pulita’ che doveva affrontare il tema dell’assegnazione dei beni confiscati alla mafia è stata trasformata nel solito attacco a Totò Cuffaro

di Andrea Piazza

Per l’occasione è stata allestita una nuova versione di Arancia Meccanica con riferimento alla “scena dell’immobilizzato costretto a non chiudere le palpebre”
Perché non si apre una seria discussione sulla gestione dei beni confiscati alla mafia per conoscere i numeri delle milionarie elargizioni pubbliche corrisposte ad Associazioni e Fondazioni che si professano antimafia per capire cosa hanno fatto con tutto il fiume di danaro che hanno ricevuto?

Mi stringo affettuosamente all’amico Totò Cuffaro per la boccata amara che ha respirato nella serata di giovedì 15 Febbraio nella trasmissione Piazza Pulita de La 7. Così una serata televisiva ordinaria si è improvvisamente trasformata come un palcoscenico mobile in un’arena spagnola, dove tutti hanno tentato di prendere il Totò per le corna. Il nobile fine per il quale era stato invitato per parlare presumibilmente di politica, è stato stravolto in “solo per i suoi occhi”, adeguando lo studio all’esigenza televisiva di trasformarlo in una nuova versione più raffinata e soft di Arancia Meccanica. Attraverso il potere dell’immagine è stata riproposta in chiave diversamente progressista l’immagine cult dell’immobilizzato costretto dai divaricatori a tenere le palpebre aperte, lo sguardo in connessione con l’anima. Ovviamente non lasciando nulla al caso, la miccia è stata maneggiata con professionalità e marinata a dovere. Ricorrendo ad una forzatura interpretativa il pasto del giorno a base di “capre e cavoli” ricetta alla siciliana con l’ausilio di altri due politici conterranei che non si sono assolutamente tirati indietro per banchettare. Il tema del servizio buono per impiattare “la gloriosa gestione dei beni confiscati”, un’analisi bidimensionale con a vista soltanto la medaglia dal lato principale… mai accennando al lato oscuro, al suo rovescio. Vedere nuovamente riproposto lo schema classico di sempre “tutti contro Totò” è stato per il sottoscritto un colpo al cuore. Nell’assistere come spettatore televisivo incredulo, per un attimo ho pensato: “Forse siamo su scherzi a parte”. Ma dopo ricollegandolo all’amico Totò in campo, in un istante ho rivissuto la sensazione di quando, anni addietro, per difendere il suo onore, dopo la sua convalescenza quinquennale per le ferite riportate dopo essere stato trafitto dalla spada umana della giustizia. Mi sono sentito e ritrovato con lui accanto, in contrapposizione a tutto un mondo dell’antimafia che non ha mai condiviso la mia scelta sentimentale, di principio… l’onere per difendere un amico.

Il giuoco “del topo senza il gatto”

In trasmissione hanno proposto il giuoco “del topo senza il gatto”. Qualora mi fossi ritrovato in trasmissione al fianco dell’amico, sono sicuro che il mio carattere non mi avrebbe confinato al solo giuoco di contrasto per la sopravvivenza, ma avrei tentato di forzare ed allargare il perimetro del pasto preparato abilmente dallo chef, allargando il fronte del dibattito alla visione a senso unico. Innanzitutto, avrei precisato e ribadito preliminarmente in merito alla sua condanna definitiva… la sua colpevolezza anche per il sottoscritto conseguente al metodo di fare politica a menù fisso “voto di scambio e prebende”. Sempre per arricchire e rendere gustosa la pietanza della condanna, diversamente dalla decisione dello chef avrei aperto il fronte dell’analisi della condanna definitiva. Sappiamo tutti che è l’imputazione infamante che fornisce il giuoco, la circostanza aggravante “favoreggiamento personale aggravato perché mafiosa”. Rammento anche a me stesso che, per 25 anni, sono stato avvocato dall’animo garantista, a maggior ragione perché la deformazione professionale mi ha portato a conoscere la forza e la fallibilità del nostro sistema giudiziario che, per molti non addetti ai lavori, quando ne parlano rappresenta il tempio sacro dell’infallibilità umana. È notorio per pochi, operatori del diritto e vittime del sistema, che un giudizio equo necessariamente richiede la terzietà del giudicante (oserei spingermi oltre le colonne d’Ercole ed inserire il promotore di giustizia ovverosia il pubblico ministero guidato dalla sete per la verità). Rammento e ricorderei agli altri che limitatamente al reato infamante “favoreggiamento aggravato del medico mafioso Guttadauro” lo stesso sostituto Procuratore Generale della Suprema Corte di Cassazione Giovanni Galati (la pubblica accusa) aveva chiesto l’assoluzione per assenza dei presupposti di diritto incriminanti. Come sappiamo il collegio giudicante, diversamente, ha condiviso le motivazioni espresse nel merito dal collegio di appello, deliberando la conferma della sentenza impugnata. Gli effetti conseguenziali hanno spalancato le porte dell’inferno, traghettando l’amico Totò nel luogo di espiazione e rieducazione.

“… spezzare i tentacoli della piovra politica che, sotto mentite spoglie, attraverso l’associazionismo militante, gestisce senza nessun onere “a gratis” l’ingente patrimonio confiscato”

Se mi fossi ritrovato al suo fianco in trasmissione, avrei replicato al tandem Corrado Formigli e Nello Trocchia il perché non si apre una seria discussione sulla gestione dei beni confiscati e perché non sussista un interesse pubblico “operazione verità” per conoscere i numeri delle milionarie elargizioni pubbliche corrisposte a tutte le Associazioni e Fondazioni etiche che si professano antimafia. In tutta sincerità, vorrei capire che cosa tanti saggi del tempio dell’antimafia hanno costruito con tutto il fiume di danaro che hanno ricevuto. Gli avrei parlato ed evidenziato che è possibile un altro modello, etico perché non sarebbe corroso dalla forza della pecunia, l’ANTIMAFIA FRANCESCANA. Si nutrirebbe dell’ideale legalitario, in assenza della tossica elargizione di denaro pubblico, ricorrendo all’utilizzo temporaneo delle strutture statali limitatamente agli eventi sociali e la vendita del patrimonio confiscato (funzione liquidatoria per ripristinare la fiscalità patrimoniale). In buona sostanza, dopo decenni di commistioni, assegnazioni discrezionali e paladini a termine, nel buio totale e nell’assenza di un briciolo realmente etico, l’obiettivo sociale prefissato anche per l’attento mondo dell’informazione dovrebbe essere di spezzare i tentacoli della piovra politica che, sotto mentite spoglie, attraverso l’associazionismo militante, gestisce senza nessun onere “a gratis” l’ingente patrimonio confiscato. Avrei aggiunto che, grazie alla Democrazia Cristiana cuffariana, è stata depositata al Consiglio Comunale di Palermo (supportata con nota tecnica illustrata dal sottoscritto unitamente all’Architetto Enrico Piazza ) una mozione per trasformare i vetusti marcipiedi di viale Croce Rossa in un luogo per commemorare tutte le vittime uccise dalla mafia in Sicilia, valorizzandone al contempo il profilo identitario. il link della mozione e nota tecnica https://drive.google.com/file/d/1JROqd7HUnVgrgCw_Nv0irogh1uXo09fu/view?usp=drivesdk.

… il buio oltre la siepe

Non metto in discussione la professionalità e l’abilità giornalistica di Corrado Formigli (proveniente dalla scuola di Michele Santoro, rispetto a lui più elastico) ma umanamente dopo che ha somministrato la sua pietanza a sorpresa, per taluni indigesta, lo inviterei a compensare, ad attivarsi per mezzo della sua indiscussa professionalità, realizzando un bel servizio (come ha dimostrato in tante occasioni) a tutela dell’onore ferito dell’amico Totò Cuffaro, il quale nonostante tutto è sempre più amato e meno detestato… Come in quel romanzo strutturato sul pregiudizio del colore della pelle, chiederei a Corrado Formigli di superare la barriera per vedere oltre il buio della siepe.

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