Vinicio Boschetti dalla Puglia alla Sicilia. Il racconto di un editore che dalla fine degli anni ’70 alla fine degli anni ’90 è stato un principe della raccolta pubblicitaria

Pugliese di San Severo e siciliano d’adozione. Impossibile, almeno per chi scrive, non volergli bene

“Non mi sono mai fermato. Mentre stavo raccogliendo pubblicità per una nuova iniziativa ‘I ristoranti del Libraio, come i piatti del buon ricordo’, mi ha fermato un ictus, arrivato forse per i troppi dispiaceri. Ma sono ancora in piedi e ho trovato la forza per scrivere questo libro”. Così racconta nelle conclusioni del suo libro – Giustizia è sfattaVinicio Boschetti, pugliese di San Severo ormai siciliano d’adozione. Pubblicitario di successo negli anni ’70 e ’80, protagonista negli anni ’90 del quotidiano Il Mediterraneo, all’età di 86 anni ha deciso di scrivere la sua storia. Abbiamo letto il libro. E’ interessante. Di fatto, è una pagina importante dell’editoria siciliana, con riferimento ai giornali cartacei, dal 1978 sino alla fine degli anni ’90. Con qualche ‘pennellata’ su una televisione storica di Palermo, CTS. A nostro modesto avviso, è un libro sicuramente da leggere per chi ha vissuto, magari da giornalista o da editore, quegli anni a Palermo e, in generale, in Sicilia. In ogni caso – questo va detto – si tratta di fatti raccontati in prima persona dall’autore del libro. Insomma, la versione di Boschetti. Corredata da documenti originali che non possono essere smentiti. In alcune parti ci sono giudizi, certe volte lusinghieri, altre volte al veleno; ci sono i documenti; e c’è soprattutto, lo ribadiamo, una parte importante della storia dell’editoria siciliana.

Una lunga amicizia con Leoluca Orlando

Di Vinicio Boschetti gli addetti ai lavori hanno detto tutto e il contrario di tutto. Chi scrive appartiene alla categoria di persone, o meglio, di giornalisti che non ha mai parlato male di questo bravo ma un po’ casinista personaggio della carta stampata. Scrivendo di lui, visto che ci conosciamo dai primi anni ’80 del secolo passato, posso, anzi devo usare la prima persona. Come ho già accennato, anche se qualche volta mi ha fatto incazzare, non ho mai nutrito astio nei suoi riguardi. E dire che qualcuna me l’ha combinata. Pur avendo ‘divorziato’ da lui dopo aver fondato Il Mediterraneo – quotidiano che è nato nella casa del padre di chi scrive – non ho mai criticato o parlato male del giornale. Mi limitavo a non leggerlo, perché non condividevo la linea. Il Mediterraneo, per come l’avevamo immaginato, avrebbe dovuto essere un giornale libertario, invece è stato un miscuglio di posizioni che si riconoscevano nella cosiddetta sinistra di Palermo. Il giornale vede la luce nel 1995, quando la tradizione socialista è stata smantellata da Tangentopoli. Di conseguenza la sinistra non poteva che essere quella ex comunista, che a partire dalla fine degli anni ’80 era stata egemonizzata, se non trasformata in buona parte, in un soggetto politico quasi ‘telecomandato’ dall’allora Sindaco di Palermo, Leoluca Orlando. Lo stesso Boschetti, con grande onestà intellettuale, ammette che Orlando, nella sua avventura di pubblicitario de Il Mediterraneo, gli ha dato una grande mano.

“Mi chiamo Antonio Boschetti ma mia madre mi ha sempre chiamato Vinicio. E Vinicio sono rimato per tutti”. I ricordi di bambino a San Severo

Non vogliamo anticipare nulla. Anche per la lunga amicizia che ci lega a Boschetti, d’accordo con l’autore del libro, abbiamo deciso di dedicare una serie di articoli. Oggi cominciamo a delineare il personaggio. Vinicio Boschetti, classe 1938, non immaginava di finire nel mondo della carta stampata. Pugliese di San Severo, dopo aver vissuto a Genova e poi in Sicilia per oltre quarant’anni, non ha mai perso il suo dialetto, che non è pugliese, ma come ci tiene a precisare, è la lingua di San Severo. “Mi chiamo Antonio Boschetti ma mia madre mi ha sempre chiamato Vinicio. E Vinicio sono rimato per tutti. Ho lavorato a Genova e poi in Sicilia, a Palermo. Ma non ho mai perso il legame con la mia terra. Così come, in tanti anni, non ho mai perso il mio accento di san Severo. Noi, a San Severo, abbiamo la nostra lingua, che è diversa dal dialetto di Foggia e di Bari. San Severo fa storia a sé. In tutto. Con i circa 50 mila abitanti è una cittadina con un passato glorioso. Da bambini, a San Severo, ci si lega alla Madonna nera, la protettrice dei contadini dalle carestie. Si racconta di una grande siccità. I contadini erano preoccupati. A San Severo, in anni passati, se veniva meno la raccolta dell’uva era un dramma: non si potevano pagare gli affitti, saltavano i matrimoni, insomma si fermava la cittadina. Così decisero di fare uscire la Madonna in processione con l’autorizzazione del Vescovo. Subito dopo la processione arrivarono tre giorni di pioggia che salvarono l’agricoltura e i contadini. Da allora la Madonna è venerata da tutti i sanseveresi. La mamma di Gesù nella mia città è sempre presente. Ricordo la festa della seconda domenica di Maggio dedicata alla Madonna del Soccorso, che è la patrona della città. Ricordo il Palio delle batterie. E poi c’è la Settimana Santa. E, ancora, la festa della Beata Vergine del Monte Carmelo, protettrice dei muratori e degli artigiani. E ancora la Madonna del Rosario. Sono ricordi che rimangono per sempre nella memoria di chi, da bambino, ha vissuto a San Severo”.

Socialdemocratico con i calzoni corti

Vinicio è sempre stato vicino al Partito Socialdemocratico. Leggendo il libro e le testimonianze di quegli anni raccontate dall’autore si capisce che allora il Partito Socialdemocratico era legato ai ceti popolari: “Mio padre faceva il brendatore. Portava il vino in barili nei camion cisterne dell’azienda Folonari. Era un lavoro faticoso. Bisognava prendere le botti e caricarle sui camion. In casa eravamo in sette: mio padre, mia madre e cinque figli. Io sono cresciuto nella casa dei nonni materni. Non so il perché. So solo che, da piccolo, mi sono legato al nonno e non lo volevo più lasciare. A un certo punto il nonno e la nonna dissero ai miei genitori: “Lasciatelo qui con noi, tanto lo venite a vedere ogni giorno”. E così fu. Il nonno era socialista. Era un socialista antifascista. Sin da bambino ho respirato il socialismo. Non sopportava i fascisti, il nonno. Un giorno era seduto al bar. Entra il federale. Tutti fanno il saluto fascista. Mio nonno rimane seduto. Il federale gli si avvicina e lo schiaffeggia. Fu un dramma. Il nonno reagì ma era anziano e malato. Si sentì male e si accasciò a terra. I compagni socialisti lo caricarono su una sedia di vimini del bar e lo portarono a casa. Ricordo ancora la scena. Ero al balcone che giocavo e ho visto arrivare il nonno portato su una sedia. E’ un’immagine che non ho mai dimenticato. Morì poco dopo”. Giovanissimo si avvicina al Partito Socialdemocratico, dove occuperà ruoli importanti nella federazione giovanile. Anche se non ama dirlo, Vinicio Boschetti è ragioniere. E da giovane ragioniere vince un concorso:

Il concorso vinto nella sua città. E poi il trasferimento a Genova

“Il mio futuro avrebbe dovuto essere tra i conti, perché ho frequentato Ragioneria. Invece… Invece, giovanissimo, partecipai a un concorso. E l’ho vinto. Ufficio di collocamento. Dove in breve tempo sono diventato capufficio. Siamo alla fine degli anni ’50 del secolo passato e, già da ragazzo, facevo politica. I miei maestri sono stati il professore Antonio Ceci e il professore Antonio Casiglio e Antonio Cariglia. Portavo ancora i calzoni corti quando mi sono legato al Partito socialdemocratico. E non ho mai cambiato. Il Partito Socialdemocratico per è stata una scuola di vita. Sono stato il segretario regionale della Puglia della Fgsi, la Federazione giovanile del Partito Socialdemocratico. E poi componente del Comitato centrale della sezione giovanile del partito insieme con Enrico Manca e Alberto la Volpe. E poi ancora componente della federazione giovanile internazionale del mio partito. Ho conosciuto i figli di Giacomo Matteotti, Giancarlo e Matteo, ai quali mi lega una lunga amicizia. Così come sono diventato amico del figlio di Giuseppe Saragat, Giovanni, grazie a lui ho conosciuto tutto Quirinale (Saragat, è noto, è stato presidente della Repubblica ndr). E poi ho conosciuto Mario Zagari e Altiero Spinelli. Mi sono sposato a vent’anni con Adriana. Abbiamo avuto tre figli: Nella, Franco e Alessia. Io allora pensavo di occuparmi di giornali? Se debbo essere sincero, no. In Puglia, dopo essere diventato capufficio, pensavo di restare lì per tutta la vita. Poi… poi, nel 1960, mi offrono di andare a lavorare a Genova, sempre all’ufficio collocamento. “Dai, Genova è bellissima – mi dicono -. Prova. Se non ti piace torni in Puglia”. Decido di andare. Anche per cambiare un po’ aria. A Genova conosco dirigenti e parlamentari del Psdi. Ricordo Alberto Bemporad e il senatore Gianni Di Benedetto. Persone meravigliose. Veri socialisti. Sempre vicini all’anima popolare della città. L’ufficio di collocamento di Genova si trovava a due passi da dove era in costruzione il ponte Morandi. Gli operai che andavano a lavorare per la costruzione di quest’opera passavano dal nostro ufficio. Anch’io abitavo vicino, in Via Frassinello. Ricordo ancora il giorno dell’inaugurazione del ponte Morandi alla presenza del presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat. Quando in televisione ho visto crollare il ponte Morandi di Genova mi ha preso un colpo. Poi un giorno…

Fine prima puntata/ Continua

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