A Palermo per Santa Lucia con esclusione di pane e pasta. In compenso arrivano cibi speciali – arancine – che oggi si mangiano tutto l’anno. E la cuccìa

Santa Lucia, vergine martire, dalla devozione al “pantacruelico”

di Frate Domenico Spatola

Fu la Santa preferita dall’Aligheri. All’origine del tetro e sublime viaggio intrapreso dal sommo Poeta, per i luoghi infernali fino alle sublime vette del Paradiso, Lucia, dai begli occhi, propiziò il cammino catartico. La “Legenda Martyrum”, la vuole vittima del tiranno di Siracusa, durante l’impero di Diocleziano. Lo spasimante, non riuscendo a possederla tutta, perché essa era già del Signore, ne pretese gli occhi. Lucia, per il nome richiama, a tema, la luce, perciò eletta a “Patrona della vista”. Palermo la venera dall’antichità, con la classica usanza, in origine penitenziale e, sperimentata anche magica dalla popolazione, di escludere dalla dieta il pane e la pasta. Non trovai altrove tanta devozione e neppure a Siracusa, la città che le diede i natali. Giorno di riposo dunque per fornai e pastai. In compenso il rimedio diventa “pantacruelico”. Si mangia di tutto. Ogni tipo di frittura e le classiche arancine, in controcanto agli arancini catanesi, con friggitrici anche improvvisate per le strade. La cuccìa, fa da classico piatto, con frumento cotto e cioccolata, possono non mancare i canditi, seppure a piacere. Pranzo pittoresco dunque, con qualche inconveniente per lo stomaco, denunciato tuttavia dalla pleiade di “intossicati” al pronto soccorso, il giorno successivo. Così era almeno una volta. Oggi quei cibi “speciali”, li trovi tutto l’anno e non stimolano più particolare voglia o famelici appetiti.

Foto tratta da Sicilia

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