Con la vittoria dell’ultraliberista Javier Milei l’Argentina va in controtendenza e annuncia la ‘dollarizzazione’ del Paese. I possibili scenari tra USA e Cina

Bisogna ammettere che il risultato elettorale in Argentina segna un punto a favore degli Stati Uniti d’America nella guerra geopolitica (e non soltanto geopolitica) contro la Cina
Foto tratta da Il Mattino

Difficile interpretare il voto andato in scena in Argentina. Come raccontano le cronache di queste ore ha vinto il candidato ultraliberista Javier Milei, che ha ottenuto il 55,69% dei voti, quasi 12 punti in più del rivale, il peronista Sergio Massa, che ha totalizzato il 44,31%. L’Argentina è un Paese vessato dall’Occidente e, in particolare, dal Fondo Monetario Internazionale (FMI). L’Argentina è andata al voto con un’inflazione che ‘viaggia’ tra il 140 e il 150%. Per l’Italia è un Paese importante, se è vero che su una popolazione di poco meno di 46 milioni di persone, quasi un milione sono italiani. Si rimane stupiti leggendo il programma politico del vincitore delle elezioni che, in pratica, vuole sbaraccare lo Stato sociale, privatizzando tutti i servizi. Di più. Il presidente appena eletto ha annunciato nel suo programma l’abolizione della moneta ufficiale argentina – il peso – per adottare il dollaro degli Stati Uniti d’America. Il peso – introdotto in Argentina nel 1992, dopo una grande crisi economica – è una divisa piuttosto debole: in questo momento vale 0,053 euro. Adottando il dollaro americano cosa succederà? La risposta non è semplice. Così come non è semplice capire il senso politico del voto argentino, se è vero che il peronismo (nome che deriva dall’ex presidente Juan Domingo Perón), ha sempre avuto un volto keynesiano e un volto liberista. Per dirla in breve, è probabile che che molti peronisti abbiano votato Milei.

Mentre Medio Oriente e Africa puntano sul BRICS, il Sudamerica tentenna

Ribadiamo: non è facile commentare i risultati elettorali in Argentina. Dove votano i cittadini da 16 anni in su. Da quello che abbiamo letto e ascoltato in queste ore, sembra che il voto giovanile abbia aiutato il vincitore Javier Milei. Anche se non sfugge agli osservatori un elemento tutt’altro che secondario. In Argentina, prima delle elezioni, veniva presa in considerazione l’ipotesi di aderire al BRICS, l’associazione di Paesi che, da anni, lavora per la creazione di una moneta alternativa al dollaro americano negli scambi commerciali internazionali. I fondatori del BRIC sono Brasile, Russia, India, Cina a cui si è poi aggiunto il Sudafrica. Questo lo schema di qualche anno fa. Negli ultimi anni – soprattutto dopo l’esplosione della guerra in Ucraina – il numero di Paesi del mondo che ha annunciato l’adesione al BRICS è notevolmente aumentato. Buona parte dell’Africa e del Medio Oriente, oggi, guarda al BRICS. Ed è così anche in Sudamerica. In Brasile, ad esempio, gli Stati Uniti d’America pensavano che facendo perdere le elezioni all’ex presidente Bolsonaro questo Paese avrebbe rinnegato il BRICS. Ma l’attuale presidente, Lula, pur con qualche ambiguità, non ha abbandonato il BRICS. In Perù – uno dei Paesi più ricchi del mondo – qualche anno fa, gli americani pensavano di andare sul velluto e non sono ‘intervenuti’ alle elezioni. Risultato: ha vinto il socialista Pedro Castillo che avrebbe voluto far entrare il Perù nel BRICS. Così gli Stati Uniti d’America, tra la fine del 2022 e i primi giorni del 2023, sono stati costretti ad ‘esportare’ un po’ di democrazia in questo Paese sudamericano, organizzando un colpo di Stato. Così, nel silenzio generale, Pedro Castillo è stato deposto e il Perù è tornato sotto il pieno controllo americano. Bisogna ammettere che l’informazione occidentale si è comportata ‘bene’ nascondendo quanto accaduto in Perù. ormai ci siamo abituati.

Con il risultato elettorale argentino lo scontro tra Stati Uniti d’America e Cina si fa sempre più duro. Anche l’Europa dovrà scegliere tra Cina e dollaro americano?

In Argentina gli americani, questa volta, non hanno voluto rischiare. E con il nuovo presidente, grazie alle privatizzazioni, dovrebbero mettere sotto controllo questo Paese che, in controtendenza con la ‘dedollarizzazione’ in atto, punta incredibilmente sulla ‘dollarizzazione’. I risultati elettorali in Argentina, o meglio, il programma politico del vincitore segna una svolta rispetto a quanto avvenuto dallo scoppio della guerra in Ucraina in poi. Con la guerra in Ucraina e, da qualche settimana a questa parte, con la guerra che gli americani hanno fatto esplodere in Medio Oriente, gli Stati Uniti contano di rimescolare le carte per frenare il processo di ‘dedollarizzazione’ in atto. La presenza di un Paese sudamericano dove il candidato che vince le elezioni punta a sostituire la moneta del proprio Paese con il dollaro è un segnale forte. Ed è un segnale che tutta l’America lancia al mondo, se è vero che il presidente argentino appena eletto, Javier Milei, si presenta come vicino al Repubblicano Donald Trump, probabile vincitore delle elezioni presidenziali americane che si terranno nel Dicembre del prossimo anno. La ‘dollarizzazione’ dell’Argentina è un segnale anche per l’Unione europea in profonda crisi economica, dove la vera inflazione viene nascosta dalla Commissione europea e dai Paesi che fanno parte della stessa Ue. Se l’Unione europea crollerà – cosa non improbabile – anche l’Europa dovrà scegliere se stare con la Cina o con il dollaro americano. Insomma, lo scontro tra Stati Uniti d’America e Cina si fa sempre più duro, e se è vero che molti Paesi del mondo non adottano più il dollaro americano negli scambi internazionali, è anche vero che la guerra in Ucraina ha bloccato la moneta unica del BRICS che avrebbe dovuto vedere la luce tra la Primavera e l’Estate del 2022. Con la guerra in Medio Oriente – che potrebbe trasformarsi, almeno in parte, in una guerra tra Israele e mondo arabo – gli americani puntano a creare non pochi problemi alla Cina, che aveva già portato dalla propria parte molti dei Paesi petroliferi del mondo arabo trattando, contemporaneamente, con Israele per una pace tra questo Paese e i palestinesi.

Che faranno adesso Cina, Russia e India?

Piaccia o no ammetterlo, ma gli americani, prima con la guerra in Ucraina, che dovrebbe proseguire per tutto il prossimo anno, quanto meno fino alle elezioni presidenziali americane del Dicembre 2024, e ora con la guerra in Medio Oriente hanno rimescolato le carte della geopolitica mondiale con l’obiettivo di rallentare il processo di ‘dedollarizzazione’. Sarà interessante capire quali saranno le prossime mosse della Cina, della Russia e dell’India che fino ad oggi hanno guidato il processo di isolamento della moneta americana nel commercio internazionale. Un elemento va comunque sottolineato: mentre Israele sta ‘ridisegnando’ gli equilibri all’interno della Striscia di Gaza con una terribile operazione militare che sta andando a scovare, uno per uno, i nascondigli dei guerrieri di Hamas finanche sotto gli ospedali, non sembra che Cina e Russia abbiano rotto con il leader israeliano, Benjiamin ‘Bibi’ Netanyahu. Almeno fino a questo momento è così. Non solo. Se tutto il mondo arabo – e non potrebbe essere altrimenti – solidarizza con i palestinesi, non ci sono ancora Paesi arabi in guerra aperta contro Israele. E questo non è un segnale di poco conto.

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