Da Cinquanta anni ‘Diacono’ pensando a un personaggio di un celebre romanzo di Georges Bernanos con le “mani bucate sempre piene perché sempre vuote”

Il ricordo di cinquant’anni fa

di Frate Domenico Spatola

La chiesa dei Cappuccini a Palermo era gremita, quel 1 novembre 1973. Parenti, frati ed estimatori. Alle 11,00 il Cardinale Pappalardo, paludato, celebrava la nostra ordinazione “diaconale”. Eravamo in due. L’altro troverà vie alternative per scelte altre. Sapevo del ministero “servizio qualificato” e che mi accingevo a ricevere. Avrebbe comportato dedizione all’altare e ai poveri. Numerosi i referenti Santi e, senza scomodare, i “Sette diaconi Gerusalemme” come da racconto degli “Atti”, mi bastò ispirarmi al diacono Lorenzo, che a Roma esibì all’imperatore i suoi poveri come gioielli. La cerimonia durò due ore, e le parole del vescovo sul “Cristo servo… per amore”, le sentii a me rivolte. Non avevo ancora cinque lustri anagrafici, e l’evento lo ritenni un traguardo. Pensai a Francesco d’Assisi “diacono”, per scelta. Impotente a prevedere i futuri anni cinquanta, oggi ne leggo i “chiaroscuri” a ritroso. Mi sentivo felice del ruolo. Lo sentivo dono dello Spirito, vagheggiando i molteplici servizi cui mi abilitava. Investito, dovevo sbracciarmi. I risultati, oggi li vedo dai buchi della fragilità e dei desideri attraversati dalla divina grazia e misericordia, stessa condizione da “mani bucate sempre piene perché sempre vuote”, come diceva Bernanos nel “Curato di campagna”.

Foto tratta da Ufficio Liturgico -Chiesa di Bologna

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