Giovanni racconta il “battesimo” che serve per eliminare i peccati, perché a dare la vita sarebbe stato compito di Colui che sarebbe arrivato dopo

di Frate Domenico Spatola

2 Gennaio 2024, Martedì prima della Epifania: Giovanni 1,19-28

Giovanni fu il testimone invocato per la difesa da Gesù. L’evangelista ci ha conservato il verbale del processo intentato a lui da coloro che erano venuti da Gerusalemme al fiume Giordano dove egli battezzava. Alle interrogazioni rispose senza tentennamenti. Si dichiarò “Voce di uno che grida nel deserto”. Non arrogò a sé il titolo né il ruolo di Messia, che la folla e i seguaci gli volevano tributare. I sacerdoti del tempio con i loro leviti, la polizia del santuario, lo inquisivano pronti a intervenire e, a un passo falso del profeta, avrebbero fatto scattare le manette. Anzitempo. Se dunque Giovanni non si dichiarava “il Messia”, chi presumeva di essere? “Elia o il profeta?”. I personaggi evocati erano del passato. Israele li attendeva per “riformare” il culto. Ma in nessuno di loro il Battista dichiarò di identificarsi. Ciò però che premeva ai giudici era la risposta alla domanda cruciale : “Perché battezzi?”. Ai trafficanti del tempio bruciava che con il battesimo Giovanni desse ai peccatori un rimedio di purificazione alternativa, sottraendo penitenti/contribuenti del tempio, e quindi introiti economici che Costituivano il loro appannaggio. Giovanni parlò del “battesimo”. Il suo era solo “d’acqua”, e serviva a significare conversione (“metanoia”) cioè morte ai peccati, perché a dare la vita era compito di Colui che sarebbe venuto dopo, Gesù, “perché più forte”. Avrebbe “battezzato in Spirito Santo”, comunicando la Vita eterna (“zoè”). Il Battista dichiarava inoltre di non essere in grado di scalzarlo, perché “lo Sposo” di Israele e della Umanità era lui. Di Betania, dove avvenne il fatto, ogni Comunità di Gesù prenderà il nome, per il significato di “casa del povero”.

Foto tratta da La Luce di Maria

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