Il terremoto in Marocco. Il ricordo di Frate Domenico Spatola: “Le case in buona parte erano di fango e paglia”

La testimonianza di un uomo di Chiesa sulle “viuzze strette da gran bazar” di Marrakesh

Foto tratta da iStock

di Frate Domenico Spatola

Fui a Marrakesh. La Medina, le viuzze strette da gran bazar, mercati dove tutto è offerto con invito. “Vu cumprà”. Anche l’acqua da bere venduta da pittoreschi ambulanti e servita da gentleman. Filiere di asinelli, miti ciuchini, mezzi di locomozione possibilitati a transitare in quelle viuzze fatte all’accoglienza. La guida locale Sadàt ci parlò con grande orgoglio di Marrakesh come la loro Napoli, sempre sveglia, e di notte i localini dove su agiati e coloriti divani, spaiati per diversa provenienza. Mentre attempati con il turbante a fumare il naghelé. Beati a godersi la serata, e a distanza l’orchestrina con tamburi e nenie infinite e senza cadenze, in discorso promordiale a beneficio liberante per l’anima. Nella piazza principale giocolieri si alternavano sotto lo sguardo comprensibilmente curioso di ragazzi, dagli occhi vispi e mai assonnati. Mi portai tal bagaglio, che avevo riposto nel fondo del cassetto della memoria sicuro che non l’avrei risuscitato. E invece il terribile sismografo tra l’8 e il 9 settembre fu sveglia da incubo. Sette gradi della Scala Ricter smuovono anche le rocce, ma quelle case erano di fango e di paglia, per buona parte.

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