Il via libera al progetto per il Ponte sullo Stretto di Messina è una presa in giro se è vero che l’Unione europea e l’euro stanno per franare

di Ciro Lomonte
Segretario politico di Siciliani Liberi

Vediamo di illustrare perché, al di là delle chiacchiere, il Ponte non si realizzerà mai

Siciliani Liberi è l’unica forza politica a spiegare ai siciliani come al resto degli italiani il vero motivo per cui è stata nuovamente imbastita dal governo l’operazione “Ponte sullo Stretto”. L’Italia è occupata dal 1945 e ad avviso di Siciliani Liberi non c’è alcuna possibilità che il Ponte, un’opera dall’evidente valore militare in caso di guerra, possa essere realizzata. La Sicilia con il ponte diventerebbe facilmente raggiungibile dall’esercito di eventuali belligeranti. Da questo punto di vista, dunque, non avrebbero alcun rilievo concreto le argomentazioni di chi ne vede i grandi vantaggi di ordine economico e sociale; e quelle di chi si oppone per motivi di ordine ambientale e paesaggistico. L’operazione sembrerebbe avere un carattere finanziario, di minore rilievo, ed uno mediatico, molto più rilevante. Roma, riaprendo la società pubblica creata nel 1971 e poi soppressa da uno degli ultimi governi dell’ex PCI, eviterebbe di incorrere nei risarcimenti dovuti, in caso di condanna in sede civile, al consorzio Eurolink cui il governo Berlusconi nel 2004 affidò i lavori per la costruzione del Ponte. Berlusconi diventerà un grande uomo politico, ma non era un politico.

Il valzer degli indennizzi

La DC, che creerà nel 1971 la società pubblica cui affidare in regime di concessione pubblica la costruzione e la successiva gestione del ponte, lo fece perché così creava una solidissima fonte di consenso attraverso le decine e poi centinaia di miliardi spesi a Messina e in Calabria per la futura costruzione del ponte. Berlusconi credeva ingenuamente che a lui lo avrebbero fatto realizzare. Nel 2013, per quanto incredibile possa sembrare, la società pubblica creata dallo Stato nel 1971 fece causa allo Stato per “aver riconosciuto un risarcimento per le spese sostenute” chiedendo al Tesoro (ribattezzato dall’ex PCI ‘ministero dell’Economia e delle finanze’) e quello dei Lavori pubblici (sempre ribattezzato dai creativi politici dell’ex PCI ‘ministero delle Infrastrutture’) di essere “indennizzata con oltre 312 milioni di euro, cui va aggiunto un ulteriore indennizzo del 10 per cento delle prestazioni rese e decurtati i contributi già ricevuti”. Totale, quasi 326 milioni di euro (https://focusicilia.it/ponte-sullo-stretto-la-societa…/).

In Europa sta franando tutto e questi pensano al Ponte di Messina

Oltre a questo c’è l’indennizzo che chiedono la ex Impregilo e le altre consorziate nel consorzio Eurolink: 700 milioni di euro di danni (https://www.wired.it/…/ponte-sullo-stretto-di-messina…/). L’operazione “Ponte sullo Stretto 2023”, che in napoletano potremmo chiamare “ammuina“, ha però anche un fine mediatico ben più importante che per il Tesoro dover pagare 1 miliardo di euro di risarcimenti. Berlusconi – che aveva già sbloccato i lavori per l’Alta velocità ferroviaria fra Napoli e Milano – sapeva benissimo che la costruzione del Ponte incontra il favore della quasi totalità della società italiana. Comunicare di voler (ri)dare il via ai lavori attrae prezioso consenso proprio quando le follie politiche “europee” trattengono a casa oltre metà del corpo elettorale che nulla vuole più sapere di politica e partiti politici. L’iter continuerà ancora un po’, fino al precipitare nei prossimi mesi della crisi delle relazioni internazionali che sta portando alla fine tanto l’euro che l’ex Comunità europea. Dopo, in un Paese che deve ormai finanziarsi mese per mese con la continua emissione di Btp per pagare stipendi e pensioni, del Ponte sullo stretto non se ne parlerà più.

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