La Regione siciliana non potrà più finanziare l’Arpa con i fondi della sanità pubblica della nostra Isola. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale

L’Arpa è l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente. La questione è stata sollevata dalla Corte dei Conti e la Consulta gli ha dato ragione

La Regione siciliana non può finanziare l’Arpa, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con una sentenza depositata in queste ore. Chi scrive conduce una battaglia da anni su tale questione. Citiamo un nostro articolo del Gennaio dello scorso anno: “Quello che sta succedendo in queste ore in Assemblea regionale siciliana, con il tentativo, da parte del Governo regionale e dell’Assemblea regionale siciliana – nel quadro della manovra economica e finanziaria 2023 in discussione all’Ars – di continuare a finanziare l’Arpa (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente) togliendo fondi agli ospedali pubblici della Sicilia è semplicemente vergognoso. E meno male che c’è il Servizio Bilancio del Parlamento siciliano che sta segnalando questa vergogna. Incredibile, veramente incredibile il comportamento del presidente della Regione, Renato Schifani, dell’assessore regionale al Territorio e Ambiente, Elena Pagana, che in queste ore hanno addirittura diramato un comunicato stampa nel quale, di fatto, si annuncia che la politica siciliana ignorerà a bella posta le prescrizioni della Corte dei Conti per la Sicilia, che ha messo nero su bianco, a chiare lettere, che Governo e Assemblea regionale siciliana debbono smetterla di finanziare l’Arpa con i soldi degli ospedali pubblici della nostra Isola. Posizione avallata e rafforzata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 172 del 5 Giugno 2018 nella quale la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 54 della legge regionale numero 16 del 2017 che ha inserito l’Arpa tra gli enti del Servizio sanitario regionale. L’Arpa si occupa di tutela ambientale e non di sanità! Non si possono togliere fondi agli ospedali pubblici siciliani per finanziare un ente che si occupa di ambiente!”. Ora è arrivata la sentenza della la Corte costituzionale. La Consulta ha dichiarato incostituzionale la norma della legge Finanziaria regionale del 2015, voluta dal Governo siciliano di centrosinistra allora presieduto da Rosario Crocetta. Stando alla norma oggi dichiarata illegittima, si stanziavano 29 milioni di euro all’anno per l’Arpa togliendoli alle strutture sanitarie pubbliche della Sicilia. Cosa, questa, che la Corte dei Conti ha contestato. Una vicenda finita sui tavoli della Corte Costituzionale che ha dato ragione alla Magistratura contabile.

La Corte Costituzionale ha smentito su tutta la line le tesi della Regione siciliana

Di fatto, la Corte Costituzionale smentisce su tutta la linea le tesi della Regione siciliana. Leggiamo alcuni passaggi della sentenza: “La nuova formulazione dell’art. 90, comma 10, della legge reg. Siciliana n. 6 del 2001 prevede ora l’assegnazione all’ARPA di un «contributo annuale di funzionamento indistinto» (lettera a) pari a 7 milioni di euro e di un «contributo annuale per il triennio 2023-2025 a valere sul fondo sanitario regionale» (lettera b), per il perseguimento di obiettivi correlati ai LEA, dell’importo massimo di 24 milioni di euro annui. Tale modifica, tuttavia, non influisce sulla rilevanza delle questioni sollevate nel giudizio a quo, poiché per la corretta determinazione del risultato di amministrazione dell’esercizio finanziario 2020 vengono in rilievo le previsioni vigenti pro tempore, tra le quali la disposizione regionale nella sua formulazione oggetto di censura da parte del rimettente (in termini, in una ipotesi analoga, si veda la sentenza n. 233 del 2022)”.

«l’impossibilità di destinare risorse correnti, specificamente allocate in bilancio per il finanziamento dei LEA, a spese, pur sempre di natura sanitaria, ma diverse da quelle quantificate per la copertura di questi ultimi»

“L’art. 20, comma 1, del d.lgs. n. 118 del 2011 – si legge sempre nella sentenza della Consulta – richiede alle regioni di garantire, nell’ambito del bilancio, «un’esatta perimetrazione delle entrate e delle uscite relative al finanziamento del proprio servizio sanitario regionale», al dichiarato «fine di consentire la confrontabilità immediata fra le entrate e le spese sanitarie iscritte nel bilancio regionale e le risorse indicate negli atti» di programmazione finanziaria sanitaria. Per conseguire tale obiettivo, nello stesso comma 1 si prescrive l’adozione di un’articolazione di capitoli di bilancio che consenta di garantire «separata evidenza» delle grandezze ivi tipizzate, la prima delle quali, nella Sezione A) «[e]ntrate» (lettera a), indica il «finanziamento sanitario ordinario corrente quale derivante» dalle richiamate fonti di programmazione, cui corrisponde, alla lettera a) della Sezione B) «[s]pesa», la «spesa sanitaria corrente per il finanziamento dei LEA […]». Per il perimetro sanitario così portato ad evidenza, sono poi fissate specifiche regole contabili che, come enuncia il successivo comma 2, sono volte a «garantire effettività al finanziamento dei livelli di assistenza sanitaria». Questa Corte ha rammentato, nella sentenza n. 132 del 2021, che il citato art. 20 «stabilisce condizioni indefettibili nella individuazione e allocazione delle risorse inerenti ai livelli essenziali delle prestazioni», da cui scaturisce «l’impossibilità di destinare risorse correnti, specificamente allocate in bilancio per il finanziamento dei LEA, a spese, pur sempre di natura sanitaria, ma diverse da quelle quantificate per la copertura di questi ultimi». Con l’unica eccezione, prevista dall’art. 30, comma 1, terzo periodo, dello stesso d.lgs. n. 118 del 2011, a favore di regioni che, gestendo «in maniera virtuosa ed efficiente le risorse correnti destinate alla garanzia dei LEA», nonché «conseguendo sia la qualità delle prestazioni erogate, sia i risparmi nel bilancio», «poss[o]no legittimamente mantenere i risparmi ottenuti e destinarli a finalità sanitarie più ampie»”.

L’armonizzazione dei bilanci pubblici è di competenza esclusiva dello Stato

Ancora la sentenza: “La disposizione censurata, nel prevedere che tutte le spese per il funzionamento dell’Agenzia potessero trovare copertura, in maniera indistinta, nel Fondo sanitario regionale, si pone in contrasto con la norma interposta di cui al menzionato art. 20, poiché, nel testo vigente ratione temporis, assegnava risorse all’ARPA in maniera indiscriminata, senza distinguere tra quelle necessarie a garantire le prestazioni afferenti ai LEA e quelle destinate a prestazioni dell’Agenzia di natura non sanitaria, come tali non finanziabili attraverso il Fondo sanitario regionale. La Regione Siciliana sostiene che le risorse economiche assegnate all’ARPA rappresenterebbero «un semplice trasferimento di risorse», già destinate a coprire spese riguardanti il settore sanitario, dall’Azienda pubblica di servizi alla persona (ASP) all’Arpa. Ciò in quanto il d.l. n. 496 del 1993, come convertito, aveva previsto che l’istituzione delle agenzie regionali ambientali avvenisse «senza oneri aggiuntivi per le regioni» (art. 03, comma 2) e che a tali agenzie fossero attribuite le funzioni per la protezione dell’ambiente e le corrispondenti risorse finanziarie un tempo spettanti alle aziende sanitarie locali (art. 03, comma 1, primo periodo). Tale circostanza, tuttavia, non è conferente rispetto alle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal giudice contabile, poiché non esime la Regione Siciliana dall’obbligo di individuare una correlazione tra le risorse assegnate all’Arpa e i LEA. L’armonizzazione dei bilanci pubblici, infatti, è materia di competenza esclusiva dello Stato che non può subire deroghe territoriali, neppure all’interno delle autonomie speciali costituzionalmente garantite (tra le molte, sentenza n. 80 del 2017). Per le medesime considerazioni, non è significativa l’affermazione della Regione circa l’asserita esistenza di numerose leggi regionali (comprese quelle delle regioni attualmente sottoposte, al pari di quella Siciliana, ai piani di rientro) che tuttora prevederebbero un analogo finanziamento delle agenzie per la protezione dell’ambiente in larga parte alimentato dal FSR (Fondo Sanitario Regionale ndr). Non è neppure dirimente l’analisi, svolta nelle difese della Regione, delle numerose funzioni assegnate dalla legislazione statale all’Arpa, al fine di dimostrare che l’Agenzia svolge talune attività afferenti al settore sanitario, comprese quelle necessarie per il raggiungimento dei LEA, come tali finanziabili attraverso il FSR. Infatti, l’assegnazione all’Arpa di funzioni non riferibili esclusivamente alla protezione dell’ambiente e riguardanti anche l’ambito sanitario non può giustificare il mancato rispetto della citata disciplina statale sul ‘perimetro sanitario’, che impone di individuare puntualmente le risorse destinate a garantire i LEA, a pena di violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici“.

Di fatto, la regione siciliana ha messo in campo una toppa che è risultata peggiore del buco…

A questo punto c’è un passaggio nel quale si dimostra che la stessa Regione siciliana ha creato i presupposti che fanno ragione ai giudici della Corte dei Conti: “Inoltre, il legislatore siciliano, dopo l’adozione dell’ordinanza di rimessione della Corte dei conti, ha radicalmente modificato la disposizione censurata, innovando – con l’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2023 – la pregressa disciplina sul finanziamento dell’Arpa e prevedendo un contributo ordinario di funzionamento di tale Agenzia che si aggiunge a quello gravante sul FSR. Significativamente, è ora stabilito che la parte di risorse assegnate all’Agenzia a valere sul Fondo sanitario regionale debba essere destinata al «perseguimento degli obiettivi di prevenzione primaria correlati ai determinanti ambientali e climatici associati direttamente e indirettamente alla prevenzione e al controllo dei rischi sanitari correlati all’erogazione dei LEA e al finanziamento dei costi per prestazioni che abbiano tali caratteristiche sulla base degli indirizzi dettati dalla Giunta regionale su base triennale». Dunque, anche dallo ius superveniens di cui all’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2023, che ha riscritto l’art. 90, comma 10, della legge reg. Siciliana n. 6 del 2001, si evince che il precedente enunciato normativo era sprovvisto della necessaria correlazione tra le risorse assegnate all’ARPA a valere sul Fondo sanitario regionale e i LEA. Ne consegue la fondatezza della questione sollevata dalle Sezioni riunite della Corte dei conti in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.”. Da quello che noi, da non giuristi ma da semplici giornalisti capiamo, la Regione siciliana, con la riscrittura dell’art. 90, comma 10, della legge reg. Siciliana n. 6 del 2001, ha messo in campo una toppa che è risultata peggiore del buco…

Il rispetto dei Livelli essenziali di assistenza

Ancora la sentenza: “Parimenti fondata è la questione sollevata in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. Va rammentato che la Regione Siciliana è sottoposta ai vincoli del piano di rientro dal disavanzo sanitario e, di conseguenza, nel suo bilancio non possono essere previste spese sanitarie ulteriori rispetto a quelle inerenti ai livelli essenziali. Infatti, come costantemente affermato da questa Corte, anche nei confronti della stessa Regione Siciliana (sentenza n. 172 del 2018), l’assoggettamento a tali vincoli impedisce la possibilità di incrementare la spesa sanitaria per motivi non inerenti alla garanzia delle prestazioni essenziali e per esborsi, dunque, non obbligatori (sentenze n. 162 del 2022, n. 142 e n. 36 del 2021 e n. 166 del 2020). È stato, altresì, chiarito che i predetti vincoli in materia di contenimento della spesa pubblica sanitaria costituiscono espressione di un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica (tra le tante, sentenze n. 36 del 2021, n. 130 e n. 62 del 2020 e n. 197 del 2019). Dunque, in costanza del piano di rientro, rimane inibita alla Regione, nell’esercizio della competenza concorrente in materia di tutela della salute, la possibilità di introdurre prestazioni comunque afferenti al settore sanitario ulteriori e ampliative rispetto a quelle previste per il raggiungimento dei LEA. Alla luce della giurisprudenza di questa Corte, l’assunzione a carico del bilancio della Regione Siciliana – impegnata nel piano di rientro dal disavanzo – di oneri non destinati all’erogazione dei LEA si pone in contrasto con gli obiettivi di risanamento del piano e viola il principio di contenimento della spesa pubblica sanitaria, quale principio di coordinamento della finanza pubblica e, in definitiva, l’art. 117, terzo comma, Cost. Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 90, comma 10, della legge reg. Siciliana n. 6 del 2001. Sono assorbite le ulteriori questioni sollevate in riferimento agli artt. 81, 97, primo comma, e 119, primo comma, Cost”. Quindi il finale: “La Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 90, comma 10, della legge della Regione Siciliana 3 maggio 2001, n. 6 (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2001), come sostituito dall’art. 58, comma 2, della legge della Regione Siciliana 7 maggio 2015, n. 9 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2015. Legge di stabilità regionale)”.

Qualcuno restituirà alla sanità pubblica siciliana i fondi finiti all’Arpa?

Insomma, come si usa dire in Sicilia, agneddru e sucu e finiu ‘u vattiu. A meno che Governo e Assemblea regionale siciliana non trovino qualche altro cavillo, l’Arpa non potrà più essere finanziata con il soldi degli Ospedali pubblici siciliani. Non è la prima volta che la Regione siciliana regala i propri soldi allo Stato e poi tenta di scipparli alla sanità pubblica. Lo ha fatto nel 2016 con una legge regionale che scippava 280 milioni di euro all’anno al Fondo sanitario regionale siciliano per pagare spese che non avevano nulla a che spartire con la sanità. Anche in questo caso Corte dei Conti e Corte Costituzionale hanno bloccato questa vergogna che è durata fino al 2022. L’Arpa deve essere finanziata con i fondi dell’assessorato regionale al Territorio e Ambiente e non con i soldi delle strutture sanitarie pubbliche della Sicilia. Chiudiamo con una domanda: la sentenza è retroattiva? In parole semplici: qualcuno restituirà alla sanità pubblica siciliana i fondi finiti all’Arpa?

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