La verità su Giuliano e la strage di Portella della Ginestra tra archivi americani ormai aperti e archivi italiani rigorosamente nascosti nei cassetti

Un post su Facebook che fa riflettere e sollecita alcune considerazioni

Riprendiamo un post del nostro amico Marco Lo Dico sul monumento che ricorda la strage di Portella della Ginestra, avvenuta l’ Maggio del 1947 in località Portella della Ginestra, nel Comune di Piana dei Greci, ribattezzata Piana degli Albanesi. “Il Memoriale di Portella della Ginestra – scrive Lo Dico a proposito del monumento – ha ottenuto il meritato riconoscimento di ‘sito di interesse culturale’ da parte del Ministero della Cultura. Peccato che sia un memoriale come tanti altri privo della vera memoria, ma che abbia lo scopo di propagandare cultura falsa e contro la verità storica, contro la giustizia terrena e contro ogni volontà di fare MEMORIA. Mi risulta che al processo di Viterbo, alla Banda Giuliano, per questa strage, è stato riconosciuto un ruolo marginale. Documentazioni attuali e perizie balistiche hanno riconosciuto interventi esterni a quelli della banda Giuliano. L’unica verità è la responsabilità della mafia in quella strage che, come in altre stragi moderne, ha agito come complice di mani e menti estranee agli interessi della terra siciliana e dei Siciliani. Quando gli interessi esotici finiranno di avere presa sulla manovalanza criminale locale al servizio di interessi romani ed extra romani, allora la vera memoria e la vera giustizia morale sarà ricordata. Fino ad allora, la cultura mafiosa di questo Paese, figlio di altri Paesi, non sarà cancellata e la memoria non sarà onorata”.

Le due tesi su Salvatore Giuliano

Sottoscriviamo le parole di Lo Dico. Prendendo spunto da questa riflessione proviamo a illustrare qualche considerazione su una vicenda complicata e ancora oggi aperta. Cominciamo col dire che il nome dato a questo monumento non è esattamente indovinato. Ricordiamo che la parola “memoriale” entra nelle cronache e nella storia della strage di Portella della Ginestra e della banda di Salvatore Giuliano dopo l’uccisione, vera o presunta, dello stesso Salvatore Giuliano. Le tesi su Giuliano sono due: è stato ucciso dai mafiosi per conto dell’appena nata Repubblica italiana già nelle salde mani americane; al suo posto è stato ucciso un sosia e Giuliano è stato portato negli Stati Uniti d’America. Che l’uomo trovato morto la mattina del 5 Luglio del 1950 nel cortile De Maria, a Castelvetrano, ne era convinto Giuseppe Casarrubea, autore di varie pubblicazioni sulla storia della Sicilia che si snoda dalla fine della seconda guerra mondiale in poi. Interessante una ricostruzione di Ignazio Coppola, attento osservatore dei fatti di quegli anni. Scrive Coppola:

L’Avvocaticchio che in punto di morte decide di raccontare quanto sa

“Misteri ed ancora misteri, complicità e protezioni politiche ed istituzionali che hanno caratterizzato sino alla sua morte la vita del ‘Re di Montelepre’. Ma poi, in effetti, la messa in scena da parte dei carabinieri, scoperta allora dal giornalista Tommaso Besozzi che il 15 Luglio del 1950 così titolava sull’Europeo: “Di sicuro c’è che morto”, mettendo a nudo appunto gli aloni di misteri della morte di Giuliano e ponendo i legittimi interrogativi dove appunto era stato ucciso e chi l’avesse ucciso. Di recente, poi, il mistero della morte di Salvatore Giuliano s’è arricchito di un nuovo tassello che ha dell’incredibile. Ossia che quel cadavere che, il 5 Luglio del 1950, massacrato di colpi, giaceva a terra nell’assolato cortile Di Maria non fosse quello di Giuliano, ma di un suo sosia. Questa la tesi dello storico Giuseppe Casarubea, recentemente scomparso, che era fermamente convinto che al posto di Giuliano era stato ucciso un sosia per consentire al vero Giuliano di fuggire ed espatriare negli Stati Uniti con i suoi compromettenti segreti che coinvolgevano forze politiche ed istituzioni. Una tesi, quella di Casarrubea, se pur assurda che, in seguito alla denunzia dello stesso storico è stata, come atto dovuto, raccolta, nel 2010, dall’allora procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, e dai PM Marcello Viola e Lia Salvia. “La riesumazione – spiegò allora il procuratore Ingroia – è una scelta obbligata. Anche se noi continuiamo a dire che andiamo con i piedi di piombo, prima di fare ipotesi bisogna aspettare le analisi”. E le analisi, ossia il riscontro del DNA effettuato su Giuseppe Sciortino, nipote di Giuliano e comparato con quello del cadavere riesumato del re di Montelepre portarono all’archiviazione dell’inchiesta, arrivando alla conclusione che i due DNA, appunto con qualche riserva, erano al 90% compatibili. Un margine di dubbio che è rimasto e si è accresciuto quando Gregorio Di Maria, soprannominato ‘l’avvocaticchio’, l’uomo che aveva ospitato per lungo tempo Giuliano nella sua casa di Castelvetrano ed a conoscenza dei suoi segreti, in punto di morte, e non si vede perché in tal frangente avrebbe dovuto mentire, all’età di 98 anni, all’ospedale di Castelvetrano, ebbe a confessare a due infermieri che lo assistevano, quasi a volersi liberare di un peso che lo aveva angosciato per tutta la sua vita, che quello che era stato ucciso e depositato, dai carabinieri, nel cortile della sua casa non era Salvatore Giuliano, ma bensì un suo sosia”. Come giustamente scrive Coppola, che motivo aveva un uomo di 98 anni, in punto di morte, di mentire? Ora due storie da ricordare.

Le prime verità nel processo di Viterbo

Prima storia. Un libro di Casarrubea –  Portella della Ginestra. Microstoria di una strage di Stato – è stato oggetto di querela da parte di qualche protagonista di quegli anni roventi. Ma i giudici hanno assolto Casarrubea, precisando che l’autore ha esercitato il diritto di “critica storica”. Successivamente a questo libro sono arrivate altre opere di Casarrubea: libri e altri studi che si possono rintracciare nel suo blog. Perché noi citiamo questi libro del 1997, quando Casarrubea ha arricchito i suoi studi fino al 2014? Perché in questo volume compare una tesi emersa durante il processo di Viterbo dei primi anni ’50 del secolo passato. Ovvero che le pallottole che a Portella della Ginestra uccisero undici persone ferendone tante altre non partirono dal monte che sovrasta Portella della Ginestra ma da armi maneggiate da soggetti che si trovavano, molto probabilmente, dietro i manifestanti o ai lati del luogo dove si svolgeva la manifestazione. Dal monte che sovrasta Portella partirono solo alcuni colpi di fucile da parte di un componente della banda subito bloccato da Giuliano. Il processo di Viterbo venne accompagnato da aspre polemiche perché non si riuscì a fare luce sui mandanti della strage. Ma gli va riconosciuto il merito di avere chiarito, già qualche anno dopo la strage, che Giuliano e la sua banda, la mattina dell’1 Maggio del 1947, hanno finito per dare la copertura a un’operazione stragista. E’ così o c’è dell’altro? Come già accennato, ci sono successivi studi di Casarrubea che raccontano altri particolari. E una ricostruzione molto curata di quegli anni scritta da Umberto Santino, presidente del Centro Siciliano di Documentazione Giuseppe Impastato descrive altri scenari (qui un articolo). Resta la domanda: chi ha organizzato la strage di Portella? Questa è una bella domanda alla quale, fino ad oggi, non c’è una risposta certa.

I libri di Pietro Zullino e Giuseppe Montalbano

Seconda storia 1: il primo possibile riscontro. La domanda su chi ha organizzato la strage di Portella potrebbe essere chiarita da due possibili riscontri. Il primo riscontro è un memoriale che Giuliano scrisse nei mesi precedenti la sua morte o la sua scomparsa. In realtà, di memoriali Giuliano ne scrisse più di uno, alcuni resi pubblici prima della morte o della scomparsa dello stesso Giuliano. Ma il memoriale più ‘pesante’ – così si racconta – non è mai venuto fuori. Giuliano scrisse tale memoriale con l’aiuto di qualcuno. L’avvocato Gregorio De Maria? O chi altro? Un fatto è certo: dopo la morte o la sparizione di Giuliano la notizia di questo memoriale gettò nello scompiglio il mondo politico italiano e siciliano, le alte gerarchie della Chiesa siciliana e le alte sfere delle forze dell’ordine. Per un breve periodo questo memoriale potrebbe essere rimasto nelle mani ‘sbagliate’. Tant’è vero che vennero fuori alcuni memoriali rigorosamente ‘aprocrifi’, tanto per confondere le idee nel caso in cui il vero memoriale si fosse materializzato. Si disse che, a un certo punto, il vero memoriale Giuliano, non senza qualche problema, sia finito nelle mani di un noto avvocato di Palermo. Vero? Falso? E chi lo sa! Fatto sta che, almeno apparentemente, le acque si placarono. O quasi. Perché dal giorno della morte o sparizione di Giuliano sino ai primi anni ’70 si contò una scia impressionante di morti più o meno collegati al filo del ‘caso’ Giuliano-Portella, vicenda che nei primi anni ’70 del secolo passato il giornalista Pietro Zullino definì “l’intrigo fondamentale” (tale definizione la trovate nel libro di Zullino Guida ai misteri e ai piaceri di Palermo). Per la maggior parte si tratta di morti ammazzati, in alcuni casi di soggetti passati a miglior vita per dubbie morti naturali. Queste e altre storie le racconta nel suo libro Mafia politica e storia Giuseppe Montalbano, docente presso la facoltà di Giurisprudenza di Palermo, dirigente comunista poi in rotta di collisione con il suo partito per questioni politiche e di mafia, personaggio che è stato un testimone attento e scomodo di quegli anni. Siccome il vero memoriale di Giuliano, a meno di improbabili colpi di scena, non si troverà più, consigliamo a chi vuole conoscere la storia della Sicilia di quegli anni tormentati di leggere sia il libro di Zullino, sia il libro di Montalbano.

Gli archivi del Viminale che rimangono chiusi

Seconda storia 2: il secondo possibile riscontro. Giuliano, soprattutto dal 1947 al giorno della sua morte o sparizione incontrava uomini politici di credo separatista, monarchici, democristiani e comunisti; incontrava esponenti delle forze che ufficialmente lo cercavano e non lo trovavano; incontrava anche alti prelati. Ci sono due personaggi che Giuliano non amava: il democristiano Bernardo Mattarella e il comunista Girolamo Li Causi. Questi due uomini politici, anche se per motivazioni diverse, rappresentano, con molta probabilità, la chiave di volta di questa storia. Ma è una storia che, con molta probabilità, non conosceremo mai. Si racconta, da sempre, che molte delle verità su fatti, personaggi e cose della Sicilia, o meglio, dell’Italia di quegli anni sono custodite negli archivi del Viminale. Non si tratta di una tesi ardita, perché il Ministero degli Interni non è stato certo estraneo alla vicenda Giuliano-Portella. Pensate un po’ che stranezze: gli Stati Uniti d’America, dopo cinquant’anni, hanno aperto i propri archivi su quegli anni, mentre l’Italia, chissà perché, li tiene chiusi. Per quale ragione? Per proteggere chi? Un dato certo, inoppugnabile, è che dopo Portella sono arrivate altre stragi di Stato, altre indagini sabotate con il corollario dei depistaggi, anche clamorosi.

Foto tratta da la Voce di New York

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