Rosy Bindi già presidente dell’Antimafia che non ha appoggiato le denunce del Prefetto Caruso eviti di assegnare patenti di legalità a Totò Cuffaro

di Andrea Piazza

Tutti ricordiamo gli anni della presidenza dell’Antimafia di Rosy Bindi: e non sono certo stati anni memorabili

In ordine alla recente dichiarazione di Rosy Bindi, entrata a gamba tesa versus Totò Cuffaro (nella foto sopra con Andrea Piazza), pur non avendo interesse a sorreggere il fuoco della polemica, mi sento moralmente obbligato a rappresentare brevemente il mio punto di vista. Ricordo come in tanti che Rosy Bindi è stata Presidente della Commissione Nazionale Antimafia (Palazzo San Macuto) ed in particolare il suo ruolo di direzione della Commissione quando, incidentalmente, il Prefetto Giuseppe Caruso, nominato direttore dell’Agenzia Nazionale dei Beni Confiscati (ANBSC) decantò i vizi capitali. Ricordo ancora che il Prefetto fu trattato come una scarpa vecchia, nonostante evidenziasse in forza di elementi “valutati successivamente fortemente indiziari dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta”, le malefatte con relative incrostazioni consolidatesi nei decenni riconducibili in prima battuta alla gestione del Tribunale di Palermo Sezione Misure di Prevenzione ed il successivo Olimpo che a confisca definitiva gestiva i beni confiscati. Anche per questa assenza assoluta di trasparenza nella gestione in fase cautelare e definitiva, resto motivato sul modello di Antimafia ideale e depurato dall’ipocrisia, l’ANTIMAFIA FRANCESCANA. Il modello a mio parere etico eliminerebbe alla radice l’interesse economico della gestione pubblica assegnata al terzo settore che, trattandosi di beni immobili di miliardi, possono stimolare la costituzione consorterie animate formalmente dall’interesse di sconfiggere il male.

L’Antimafia non deve alimentare l’Industria dell’Antimafia

Siamo tutti consapevoli che lo spirito dell’antimafia tentato dalla pecunia non si è fatto uomo ma si è trasformato nell’industria sociale dell’antimafia. Questo modello duemila anni addietro avrebbe motivato nostro Signore Gesù Cristo a scacciare tutti questi mercanti fuori dal Tempio, farisei inclusi. Il modello alternativo, l’antimafia francescana presupporrebbe l’utilizzo temporaneo a tempo dei beni pubblici “per la realizzazione di manifestazioni”, nessuna elargizioni pubblica (assenza di maneggio di denaro pubblico) in favore di Associazioni e Fondazioni e, dulcis in fundo, la vendita del patrimonio confiscato, dal momento che lo Stato non può gestire ma deve seguire un profilo liquidatorio. Assegnare bene e spendere migliaia di euro per riconvertire i beni immobili è semplicemente un gioco al massacro. Detto in parole semplici, l’obiettivo di questo modello sarebbe di eliminare i tentacoli della discrezionalità politica ed associativa che, indirettamente, in casi non isolati alimenta il SISTEMA DELL’INDUSTRIA DELL’ANTIMAFIA.

Quando, nel Marzo del 2014, il Prefetto Caruso denunciò ruberie e malversazioni attorno alle aziende e ai patrimoni sequestrati dalla Magistratura ai boss e agli imprenditori in odore di mafia, la presidente della Commissione Antimafia definì le parole del Prefetto “un’accusa generalizzata al sistema”. Poi si è visto com’è andata a finire con i vecchi vertici della Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo

È possibile fare antimafia esclusivamente con il cuore ed attraverso il proprio apporto personale. In Italia, sotto taluni aspetti, sembrerebbe che lo sperpero di danaro sia l’unica via per essere credibili. Ci sono Associazioni super referenziate che, per una manifestazione lontana dalla Urbe Palermo, sovvenzionano, nel nome dei valori dell’antimafia, migliaia di euro per disporre della presenza dei familiari delle vittime, provvedendo alle ingenti spese di trasferimento ricorrendo al trasporto aereo, con pasti e pernottamento. Tutti ciò lo considero uno scandalo nello scandalo per parafrasare una citazione di Leonardo Sciascia che definiva la Mafia “lo Stato nello Stato”. Considerato che neanche Rosy Bindi ha o non è riuscita a mettere mano costruttiva per demolire il santuario dell’antimafia sociale, una macchia indelebile è stato il trattamento che riservò al Prefetto Giuseppe Caruso, per concludere la riflessione giungo alla conclusione che Ella moralmente non dovrebbe sentirsi idonea ad assegnare patenti di moralità. Come disse nostro Signore “chi è senza peccato scagli la prima pietra” e sinceramente nessuno è degno di prendere una pietra. Alimentare lo scontro e non cercare un necessario equilibrio nell’interesse di un popolo diviso lo trovo in tutta sincerità miope e sconfortante.

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