Vinicio Boschetti racconta: il genio Parretti, la lite con L’Ora sui numeri del lotto, la Fiera in mezzo al mare e l’avventura de ‘Il Barbiere’ con Giulio Ambrosetti e Francesco ‘Saro’ Terracina

Ottava puntata del volume ‘Giustizia è sfatta’ di Vinicio Boschetti, pubblicitario di successo tra gli anni ’70 e primi anni del 2000. Oggi proponiamo ai nostri lettori un ‘viaggio’ tra amarezze e sorrisi nella Sicilia degli anni ’80-primi anni ’90. Tante storie, quasi una cavalcata nella memoria

Ora devo raccontare cosa ho fatto dopo che sono andato via dalla Manzoni. Intanto debbo dire che il commendatore Augusto Carbone non mi ha mai abbandonato. Del resto, nessuno meglio di lui sapeva come erano andati i fatti. Sapeva benissimo che avevo accettato di sacrificarmi per il buon nome della società. Ma debbo dire che non mi sono mai scoraggiato. A parte l’aiuto di Carbone, che mi è sempre stato vicino e con il quale sono rimasto in ottimi rapporti, ho sempre avuto una grande fiducia nelle mie capacità. E ho avuto ragione. Ricordo benissimo che un mese dopo il mio addio alla Manzoni Il Diario ha chiuso i battenti. La rotativa – fondamentale per stampare un quotidiano – è finita dal tipografo Tarantella. Mi è dispiaciuto sapere che Giancarlo Parretti e Antonio Raspa non andavano d’accordo. Parretti finì per un po’ in galera. Oggi, a distanza di anni, guardo le cose con serenità. Parretti me l’ha combinata. Ma non ho conservato astio nei suoi riguardi. E’ un tipo sveglio, vivace. Forse un po’ troppo sveglio e anche un po’ troppo vivace. Ma è una persona molto intelligente. L’ho detto: è una macchina per fare soldi. Se c’è di mezzo il denaro va avanti come un treno, non lo ferma nessuno. In questo è imbattibile. Anche Antonio Raspa è piuttosto vivace. Ed è in gamba anche lui. Quando ha chiuso Il Diario anche un mio grande amico, Paolo Ferriani, grafico eccelso, della scuola di Forattini, Merlo e Bevilacqua, è rimasto senza lavoro. Gli ho detto: “Paolo, non ti preoccupare. Anche se non sono siciliano penso di conoscere abbastanza bene la Sicilia. Il lavoro ce lo inventiamo. Abbi fede”. (Foto sopra tratta da Vecteezy)

Una vita con il grande grafico Paolo Firriani

All’inizio Paolo era un po’ giù. E anche un po’ perplesso. Paolo è nato in Emilia Romagna. Ha un carattere solare. Per lui la chiusura del quotidiano è stato un colpo. Era il suo lavoro. Meditava di tornare a Bologna. Io l’ho incoraggiato a restare in Sicilia. Debbo dire che ha condiviso il mio ottimismo e la mia fiducia nel lavoro. Anche perché abbiamo cominciato subito a darci sotto per i fatti nostri. Insieme abbiamo dato vita a due settimanali: VIP, acronimo di Vivere In Palermo, e Teleguida. Poi c’erano gli inserti per il settimanale Gente e la pubblicità per il Corriere del Mezzogiorno, che oggi è legato al Corriere della Sera. Ho aperto la Bottega Grafica a Palermo, in via Serradifalco. Le cose andavano bene. Ho acquistato cinque appartamenti a Palermo e tre appartamenti a Piana degli Albanesi. Purtroppo la società dalla quale li avevo acquistati è fallita e i compromessi che avevo firmato non sono bastati ad assicurarmi la proprietà. Morale: ho perso gli appartamenti e l’anticipo che avevo versato. Per una persona che veniva fuori da un passaggio di vita difficile e sofferto c’era di che scoraggiarsi. Ma io sono andato avanti. Con la Bottega Grafica abbiamo acquistato una macchina IBM e un computer Mec. Con Paolo facevamo di tutto. Ricordo gli speciali sul Circo; e uno speciale sul concerto di Frank Sinatra allo stadio comunale di Palermo. Ricordo gli speciali sui Misteri di Trapani, ovvero la Santa Pasqua di questa splendida cittadina siciliana. E ancora gli speciali sulla Fiera del Mediterraneo. Ricordo lo speciale CIAO PAPA sull’arrivo di Papa Giovanni Paolo II in Sicilia pieno di pubblicità: solo la Provincia di Palermo ci diede 60 milioni di lire. Uno speciale bellissimo. Dopo averlo distribuito ho capito, dal successo che riscuoteva, che avevo commesso un errore a regalarlo. Se lo avessi messo in vendita, anche ad un prezzo basso, avrei guadagnato molto di più.

La lite con gli editori del quotidiano L’Ora sui numeri del lotto

Segnalai Paolo alla Regione. Ebbe l’incarico di realizzare la grafica del mensile dell’Assemblea regionale siciliana, Cronache parlamentari. Ebbe un contratto che gli assicurò un introito sicuro. Di quegli anni ricordo una lite con gli editori del giornale L’Ora di Palermo. Avevamo dato vita a un quotidiano free press, Mondello Mia, che distribuivamo sulla spiaggia. Pubblicavamo anche i numeri del lotto. Il Giornale L’Ora il Sabato pomeriggio pubblicava i numeri del lotto e noi, secondo gli editori di questo giornale, facevamo concorrenza sleale. Dicevano che i palermitani non acquistavano il loro giornale perché trovavano gratis i numeri del lotto su Mondello Mia. Se debbo essere sincero, questa polemica surreale mi divertiva. Un giorno quando vennero a lamentarsi per l’ennesima volta risposi per le rime: “Ma voi non siete il giornale della città che deve raccontare Palermo e la Sicilia? Mi state dicendo che vendete il giornale perché la gente vuole sapere quali numeri del lotto sono stati estratti?”. In realtà, un po’ avevano ragione. Il L’Ora era un giornale vicino al Pci. Si racconta che l’allora segretario del partito, Palmiro Togliatti, telefonava spesso il Sabato per sapere se il giornale aveva pubblicato i numeri del lotto. Una storia che mi ha confermato Walter Veltroni quando acquistai i film e figurine dei calciatori che venivano abbinati al quotidiano del partito, l’Unità.

Il grande rammarico: Italia Show, ovvero la Fiera itinerante su una nave in giro per il mondo a promuovere la Sicilia

Nella mia vita ho fatto tante cose. Molte sono andate bene, qualcuna è andata storta. C’è una cosa, in particolare, che mi ha arrecato un grande dispiacere. Mi riferisco a un’iniziativa, pensata da me che, ne sono certo, avrebbe avuto un grande successo di pubblico e un altrettanto grande ritorno economico. Purtroppo capita, come dire?, che il diavolo ci mette la coda. Parlo di un’idea nata a Genova, una città – l’ho già raccontato – che rimane sempre nel mio cuore. La mia idea, che piacque molto ai miei amici del PSDI, era quella di promuove l’Italia e i prodotti del made in Italy su una nave in giro per il mondo. Si era a fine anni ’80 del secolo passato. Quando ho esposto la mia idea i miei amici erano felicissimi. Anche perché era un progetto che partiva da Genova, città di mare per definizione e proprio allora si celebravano i 500 anni della scoperta dell’America con i festeggiamenti delle “Colombiadi”. La storia di questa bellissima città ligure è legata al mare. E un’iniziativa per promuovere l’Italia che nasceva a Genova con al centro il mare era una grande novità. Dobbiamo pensare a tale idea inserita nel contesto economico e culturale di quaranta anni fa. Il progetto si chiamava Italia Show. Insomma, era una Fiera realizzata su una grande nave che andava in giro per il mondo promuovendo i prodotti del Made in Italy. Invece di organizzare una Fiera in un luogo del mondo ho pensato a una Fiera che va in giro per il mondo. Se organizzi una Fiera in una città verranno a visitarla gli abitanti della stessa città e dei centri vicini. Ma se organizzi una Fiera itinerante su una nave che va in giro per il mondo avrai visitatori di tutto il mondo.

Tutto finisce in Libano

Immaginavamo una nave – una grande nave – con dentro i negozi pronti a promuovere e vendere i prodotti del Made in Italy di allora che, partendo da Genova, avrebbe girato i Continenti. Gli imprenditori che abbiamo contattato erano impazziti per la gioia. Ne parlai con Cesare De Michelis, un grande editore illuminato del quale vi ho già detto in occasione de I Diari. L’idea lo affascinò e mi mise in contatto con suo fratello, Gianni De Michelis, che allora era Ministro. Il Ministro socialista De Michelis mi diede una grande mano. In realtà, avevo qualche dubbio. Gianni De Michelis, oggi scomparso, era veneziano. E Venezia è un’altra città di mare gloriosa. Cesare mi aveva un po’ preso in giro: “Sai – mi disse – mio fratello è molto legato alla sua città. Magari ti dà una mano a patto che tu sposti l’iniziativa su Venezia…”. Scherzava? Sì. Infatti anche a Gianni De Michelis l’idea andava a genio. Fu lui che fece da tramite con l’Adriatica Navigazione che mi mise a disposizione la nave Appia. De Michelis fece di più. Convinse tanti parlamentari di tutti i partiti a sponsorizzare un’iniziativa che promuoveva l’immagine dell’Italia nel mondo. Tutti erano d’accordo e la legge venne approvata dal Parlamento nazionale senza problemi. Tra le agevolazioni, si prevedevano contributi per le aziende che avrebbero preso parte all’iniziativa. Avevamo pensato proprio a tutto. Avevamo contattato anche la Banda dei Carabinieri. Proprio quando abbiamo cominciato a raccogliere le adesioni degli imprenditori è arrivata la tegola in testa: al Governo nazionale serviva la nave Appia per andare a prendere i militari italiani nel Libano. Un disastro.

Le cartoline con una busta con dentro un CD per promuovere gli alberghi e i ristoranti delle città

Qualcuno si chiederà: era impossibile trovare un’altra nave? Ci abbiamo provato ma non siamo riusciti a trovare una nave per sostituire la Appia. Serviva una nave grande, spaziosa. L’abbiamo cercata ma non c’è stato nulla da fare. Ecco, la mancata realizzazione di questa iniziativa, alla quale ho lavorato per tanti mesi, mi ha lasciato un grande vuoto. Ancora oggi, quando ci penso, mi prende una grande tristezza. Il mio amico Imperato, armatore, voleva comprare una nave, siamo andati a vederne una a La Spezia, ma era piccola. Mentre lavoravo al progetto della nave mi occupavo anche di altre cose. Lavoravo per la casa editrice Bietti con il direttore editoriale, il grande Alberto Sensini. Ricordo un’iniziativa che ho realizzato insieme con l’amico Giuseppe Olivieri: le cartoline con una busta con dentro un CD per promuovere gli alberghi e i ristoranti delle città. Li vendevamo due mila lire ai portieri degli alberghi che li rivendevano ai turisti al prezzo di cinquemila lire. Ero tornato a Palermo e, con i miei figli, abbiamo realizzato un secondo capannone per rimettere sul mercato gli articoli non venduti. In quel periodo ricordo un’iniziativa particolare: le piccole case in pietra intestate ai miei nipoti Amanda, Antonio e Silvia e una torre di avvistamento per la più piccola delle mie figlie, Alessia. Insomma, ho continuato a gestire il lavoro con i miei figli che, debbo dire, mi hanno sempre sopportato e che mi sopportano ancora.

Le due palline che sbattevano l’una contro l’altra: idea tavolgente del figlio di Vinicio Boschetti

Ricordate le due palline che sbattevano l’una contro l’altra? Questa è stata un’idea di mio figlio. Un successo incredibile. Anche Paolo Ferriani era tornato a Palermo. Ricordo che facevamo varie testate e, tra queste, Gioca Bimbo, che risultava molto gradita ai bambini. Ricordo che Capitale Sud, giornale di Paolo Panerai, dedicò alcuni articoli alle mie iniziative. I miei figli Nella e Franco erano diventati bravi, veri e propri pilastri. Io, da parte mia, svolgevo la mia attività di pubblicitario. Ho fatto con Giorgio Li Bassi il primo programma di cucina in TV con Canale 21; c’erano con sponsor importanti: Cucine Ariston e Olio Giada. Ho fatto un mensile economico, Manager. Ogni tanto pensavo al mio vecchio amore: i quotidiani. In effetti, qualcosa maturò. Vittorio Corradino mi aveva presentato due giornalisti particolari: Giulio Ambrosetti e Francesco Terracina. Erano – e non so se lo sono ancora – due vecchi amici dei tempi dell’università. Giulio, non ho mai capito perché, chiamava Francesco ‘Saro’. Un giorno chiesi a Giulio: “Si può sapere perché lo chiami Saro se tutti, a cominciare da Vittorio, lo chiamano Francesco?”. Ricordo che Giulio scoppiò a ridere. Mi disse: “Guarda che il suo vero nome è Saro. Nel suo paese, Sant’Ambrogio, frazione di Cefalù, nella sua famiglia, tra i suoi vecchi amici tutto lo chiamano Saro. Te lo posso garantire perché ci siamo conosciuti a vent’anni, negli anni dell’università. Quando nei primi anni ’80 è tornato dagli Stati Uniti d’America, dove era andato per un certo periodo di tempo e ha cominciato a bazzicare la redazione de giornale L’Ora ha cambiato nome. Io me ne sono accorto dopo quale mese. Eravamo entrambi collaboratori del giornale L’Ora. Io scrivevo di economia, mentre Saro si occupava di cultura e spettacoli. Quando mi sono accorto che aveva cambiato nome – era già passato a fare il cronista politico – non ho detto nulla. Per gli uomini di spettacolo è normale. Magari lui ha pensato di fare lo stesso”. A me la spiegazione di Giulio non mi ha mai molto convinto. Anche perché Francesco negava.

“E tu saresti un editore? Hai le notizie di prima pagina e le censuri. Va curcati!

Giulio e Francesco avevano lavorato al giornale L’Ora fino alla chiusura, avvenuta nel Maggio del 1992, proco prima della strage di Capaci. Lo ricordo bene perché in tanti, dopo l’uccisione di Giovanni Falcone, di Francesca Morvillo e degli uomini della sua scorta abbiamo avuto la sensazione che la data scelta per fare sparire il giornale L’Ora dalle edicole non era stata casuale. Checché se ne dica, il quotidiano L’Ora è stato sempre espressione della sinistra, negli ultimi tempi magari di una sinistra un po’ libertaria e non sempre in sintonia con il Pci. Giulio, per esempio, è stato sempre un socialista incontrollabile. Alla fine degli anni ’80 il Pci era diventato con Achille Occhetto il Partito Democratico di Sinistra. Ma sempre di sinistra. Giulio e Francesco, dopo la chiusura de L’Ora erano liberi e collaboravano con qualche mia iniziativa editoriale. Scrivevano per VIP, Vivere In Palermo, iniziativa che di cui ho già parlato. Ricordo che un giorno Giulio voleva scrivere una notizia che riguardava Padre Pintacuda. Giulio conosceva molto bene il mondo dei gesuiti di Palermo, perché aveva cominciato a scrivere nel 1978 in un giornale che si chiamava Universitas, dove era finito anche Vittorio Corradino. Giulio aveva ‘naschiato’ una notizia che riguardava Padre Pintacuda, non ricordo di preciso di cosa si trattava. Era comunque una cosa che non metteva in buona luce Pintacuda. Giulio mi disse: “Vinicio, per ora siamo in pochi a conoscere questa storia. E se la scrivo io non andrò pesante, userò l’ironia. Tra qualche settimana, se non la scriviamo noi, la scriveranno gli altri”. Se debbo essere sincero era un po’ intimorito. Mi sono consultato con i miei amici che mi hanno detto: “Sei pazzo? Non ti sono bastati i casini che hai avuto? Vuoi il resto? Lascialo stare, Giulio. Quello scrive sempre articoli per piantare grane. Non importa che ha le ‘carte’ per dimostrare quello che scrive, perché a Palermo i potenti comandano e basta. E questa regola vale sia per i potenti della mafia, sia per i potenti dell’antimafia. St’atti accuorto”. Quando ho riferito questo discorso a Giulio finì con una grande risata. La cosa che mi colpì è che mi fece i nomi delle persone con le quali avevo parlato. “Come fai a sapere che ho parlato di questa storia con loro?”, gli chiesi. Mi rispose ridendo: “Perché alcune di queste persone li vedo spesso con te e le altre li citi spesso. Comunque, Vinicio, te ne pentirai”. Due o tre settimane dopo la notizia finì sui giornali e successe il finimondo. Giulio mi prendeva in giro: “E tu saresti un editore? Hai le notizie di prima pagina e le censuri. Va curcati!”. Un po’ perché ero incazzato, un po’ perché avevo voglia di tornare con qualcosa di mio in edicola, invitai a pranzo Giulio e Francesco in una trattoria che si trovava dalle parti del capannone di Capaci. “Ho da farvi una proposta”, dissi. Era appena arrivata la prima portata, gli spaghetti alla carrettiera con doppio peperoncino, il piatto preferito di Giulio. Che mi disse: “Ti prego, dopo la pasta”. Dopo la pasta dissi ai due, mi piaceva chiamare così Giulio e Francesco: “Riuscite a inventarvi qualcosa? Cominciamo così, per divertirci. Un settimanale”. Nacque così Il Barbiere, forse l’iniziativa editoriale più divertente della mia vita.

Fine dell’Ottava puntata/ Continua

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