La storia del grano duro Creso e perché oggi si torna al punto di partenza valorizzando i grani tradizionali di Sicilia, Puglia e Basilicata

Tutto comincia a Roma nei primi anni ’70 del secolo passato, quando si pensava che le varietà di grano a bassa taglia avrebbero assicurato un futuro radioso: da qui il via al grano OGM

Dopo le parole di Paolo Barillaprotagonista di una delle aziende produttrici di pasta tra le più note al mondo, che qualche anno fa celebrava l’importazione in Italia di grano estero; dopo le considerazioni di di Oscar Farinetti, ‘Patron’ di Eataly, che qualche anno fa raccontava all’universo mondo che “il grano italiano non è di alta qualità” e che “il grano canadese, ad esempio, è qualitativamente superiore“ e dopo il nostro ‘viaggio’ lungo i sentiri di quella grande presa per i fondelli che è ormai diventata la Dieta Mediterranea nell’Unione europea e, segnatamente, in Italia e in Sicilia, oggi raccontiamo la storia del grano duro Creso, una varietà di grano duro creata in laboratorio nei primi anni ’70 del secolo passato. Il Creso non va demonizzato. Ma non va nemmeno osannato. Perché è pur sempre, piaccia o no, una varietà di grano duro frutto di una variazione genetica indotta dall’uomo con i raggi gamma. Insomma, è un Organismo Geneticamente Modificato (OGM) non transgenetico (nel senso che nel genoma della varietà di grano duro modificata dai raggi gamma non sono stati inseriti geni: ma è pur sempre un Organismo Geneticamente Modificato). Negli anni in cui il Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare (CNEN) selezionò, con l’uso dei raggi gamma, questa particolare varietà di grano duro – si era nei primi anni ’70 del secolo passato – non c’era né da parte della scienza, né da parte della società civile l’attenzione che c’è oggi verso gli OGM. Va detto, inoltre, che le motivazioni che hanno portato gli scienziati dell’epoca a selezionare questa cultivar di grano duro erano – e sono tutt’ora – valide. Va ricordato che sino alla fine degli anni ’60 quasi tutte le varietà di grano duro erano caratterizzate da una taglia molto alta, che variava da un metro e 40 a un metro e 80 centimetri. Questo creava problemi, perché le piante erano soggette al cosiddetto allettamento, ovvero al ripiegamento delle stesse piante sino a terra: cosa che creava danni sia quantitativi (riduzione della produzione), sia qualitativi. A ciò si aggiungeva il fatto, tutt’altro che secondario, delle produzioni medie per ettaro piuttosto basse (e quindi bassi redditi per gli agricoltori). Oggi queste considerazioni, buone negli anni ’70 e ’80 del secolo passato, sono state superate, tant’è vero che il grano duro Senatore Cappelli Foto sotto tratta da Amore Terra) – un grano duro di taglia alta – è tornato in auge perché di elevata qualità, soprattutto per la preparazione della pasta; varietà che si presta molto alla coltivazione in biologico. C’è stato anche il tentativo, da parte del solito Nord Italia, di impossessarsene per farne un monopolio. Tentativo bloccato. (Sopra, foto del grano duro Creso tratta da AgroNotizie – Image Line)

Il successo del grano duro Creso è stato strepitoso. Nei primi anni ’80 si può dire che il grano duro era rappresentato, in larga parte, dal Creso e dai suoi derivati

Nei primi anni ’70 la genetica agraria venne incontro alle esigenze dell’agricoltura selezionando un grano duro a taglia bassa e piuttosto produttivo. Ma l’ha fatto con un metodo particolare. I tecnici del CNEN hanno operato la sperimentazione su una delle varietà di grano duro più famose nella storia della granicoltura del Sud Italia: la citata cultivar Senatore Cappelli. Si tratta di una varietà di grano duro autunnale ottenuta nei primi del ‘900 dal celebre genetista agrario, Nazareno Strampelli, presso il Centro di ricerca per la cerealicoltura di Foggia. Da questa varietà, con i ‘bombardamenti’ di raggi gamma, è venuta fuori la cultivar Creso, che ha il pregio di essere, come dire?, una cultivar un po’ nana (dovrebbe attestarsi intorno agli 80 centimetri di altezza: e quindi niente più allettamenti e relativi danni); è più produttiva (anche perché, non piegandosi, subisce meno danni dai venti e dalle piogge) ed è anche resistente a certe patologie. In più – elemento non secondario – la varietà Creso presentava una percentuale di sostanza proteica (il glutine) maggiore rispetto alle altre varietà di grano duro dell’epoca. Cosa che non dispiaceva certo agli industriali della pasta (oggi ci sono cultivar che contengono percentuali di glutine superiore alla percentuale del Creso originario). Il successo del Creso è stato strepitoso. Nei primi anni ’80 si può dire che il grano duro italiano era rappresentato, in larga parte, dal Creso. E oggi? In molti Paesi del mondo, l’abbiamo ricordato, è ancora centrale nei programmi di miglioramento genetico. In Italia è ancora presente, più nel Centro Italia (dove si coltiva il 20% del grano duro del nostro Paese) che nel Mezzogiorno, dove si tende a valorizzare le varietà locali.

Di fatto i prodotti agricoli OGM, da anni, invadono l’Unione europea in barba al divieto. Il falso mito della tenuta della pasta durante la cottura

Ma accanto agli elementi positivi ci sono anche i dubbi. Intanto oggi gli OGM non sono diffusi in tutto il mondo. Ci sono aree del nostro Pianeta dove si utilizzano e zone dove non dovrebbe essere utilizzato. Il condizionale è d’obbligo, perché con la globalizzazione dell’economia non è facile capire quello che succede. O meglio, in parte si capisce, se è vero che la soia e il mais che arrivano nell’Unione europea da altri Paesi del mondo sono quasi tutte OGM; e siccome sono utilizzati nell’alimentazione degli animali, ecco che soia e mais OGM vanno nel latte e nella carne che poi finiscono sulle nostre tavole. la Ue, insomma, fa finta di essere contraria agli OGM ma nella realtà ne ha favorito e ne favorisce la diffusione. Tornando al grano duro, oggi, il vero tema è il glutine. Sui problemi che questa sostanza proteica provoca al nostro organismo abbiamo pubblicato un articolo con un’intervista al professor Alessio Fasano, un medico che è un’autorità mondiale in questo settore: (Tutto quello che dobbiamo sapere sul glutine, dalla celiachia alla Gluten sensitivity.) Il glutine è una sostanza proteica che conferisce alla pasta la tenuta durante la cottura. Questa è la motivazione ufficiale che ha sancito, mettiamola così, la ‘vittoria’ delle varietà di grano duro ricche di glutine sulle varietà di grano duro a contenuto normale di glutine. Ma il glutine non è un toccasana per l’organismo umano. 

La Gliadina e la Gluteina

E’ interessante quello che scrive la specialista in Medicina interna, Sara Farnetti: “Il grano ha sempre avuto tra i suoi costituenti fondamentali una componente tossica, il glutine, con funzioni di riserva per la crescita del germe. Il glutine è una sostanza colloidale, formata da due proteine semplici la Gliadina e la Gluteina che conferiscono al seme un alto grado di collosità e favorisce l’aggregazione sua e l’elasticità dell’impasto”. “La Gliadina – leggiamo sempre nello scritto della dottoressa Farnetti – è una proteina vegetale ricca di acido glutamminico, che risulta particolarmente irritante per le cellule nervose. La Gluteina è una proteina solubile in alcali, ma, quando il ph dell’intestino varia verso l’acido, non è più solubile e quindi non metabolizzabile e diviene una tossina. Il grano primitivo, il monococco, oltre a contenere uno scarso quantitativo di glutine, era dotato di un perfetto equilibrio dei suoi componenti che impediva alla tossicità del glutine di esplicare un’azione lesiva a livello dei tessuti, come avviene quasi sempre nei prodotti della natura, prima delle trasformazioni indotte dalla moderna tecnologia. Le moderne selezioni – scrive sempre Sara Farnetti – hanno modificato questa pianta da cereale, ricco di amidi, ad un’altro con caratteristiche più simili ad una leguminose, per aumentare il contenuto proteico. Appare fondata l’ipotesi che la modifica genetica del frumento sia correlata ad una modificazione della sua proteina e, in particolare, di una frazione di questa, la gliadina, la proteina basica capace di indurre l’enteropatia infiammatoria e quindi il malassorbimento caratteristico del Morbo Celiaco. L’aumento dell’incidenza della Celiachia, quindi, (1 caso ogni 100 o 150 persone con una crescita percentuale del 9% all’anno), potrebbe essere anche dovuta anche ai ripetuti e differenti interventi sulle varietà di grano, presente nella maggior parte degli alimenti che mangiamo, ma occorrerebbe produrre indagini scientifiche ed epidemiologiche accurate”. (qui potete leggere l’articolo per esteso). Non si può escludere che la modificazione genetica del frumento possa essere stata la causa dell’aumento di certe patologie. Anche se, aggiunge la stdiosa, bisognerebbe produrre “indagini scientifiche ed epidemiologiche accurate”. (Sopra foto tratta da Obiettivo in Salute)

Meglio tornare ai grani locali di Sicilia, Puglia e Basilicata

I dubbi sul grano geneticamente modificato non mancano. Ma sono dubbi che necessitano di approfondimenti. Però sappiamo che il glutine, più che ai consumatori, serve all’industria della pasta, perché la sua presenza riduce i tempi di essiccazione: più glutine c’è, più ridotti saranno i tempi di essiccazione della pasta, più bassi saranno i costi di produzione e maggiori saranno i guadagni per gli industriali. Questo rende difficile la riconversione della produzione. Intanto il numero dei malati di Celiachia e di intolleranze aumenta. In ogni caso, su una tesi ormai concordano quasi tutti: e cioè che è più salutare tornare alle varietà di grano duro tradizionale. Il discorso riguarda il Mezzogiorno d’Italia – Sicilia, Puglia e Basilicata in primo luogo – per la produzione di grano duro; ma riguarda tutti i cittadini, o meglio, la salute di tutti i cittadini. Una pasta con meno glutine non crea problemi. E non è vero che non tiene la cottura: basta stare un po’ più attenti. Dunque, mangiate pasta con grano siciliano, pugliese, lucano: in una parola, mangiate la pasta, il pane e tutti gli altri prodotti preparati con grano duro locale.

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