Un sindacato dei medici, il Cimo, pone il problema del Pronto Soccorso del ‘Cervello’ di Palermo, ospedale che da quando è diventato la ‘ruota di scorta’ di Villa Sofia è stato menomato e smembrato

Parlano i fatti: negli ultimi anni all’ospedale ‘Cervello’ sono stati smantellati i reparti di Neurologia, Urologia, Oculistica, Chirurgia toracica, Chirurgia vascolare, Chirurgia maxillo facciale e perfino Ortopedia. In questa struttura ospedaliera la politica ‘risparmia’ anche sulle preghiere e sulla Santa Messa

Finalmente c’è un sindacato dei medici che affronta la questione del Pronto Soccorso dell’ospedale ‘Vincenzo Cervello’ di Palermo. A puntare i riflettori su quello che fino al 2008 è stato uno degli ospedali pubblici più importanti del capoluogo dell’Isola e dell’intera Sicilia è Giuseppe Bonsignore, segretario
regionale della Cimo Sicilia (foto sotto), che ha inviato una lettera all’assessore regionale alla Salute-Sanità della Regione siciliana, Giovanna Volo, al Dirigente Generale del Dipartimento per la pianificazione strategica Salvatore Iacolino, al Dirigente Generale del DASOE (Dipartimento per le Attività Sanitarie e Osservatorio Epidemiologico), Salvatore Requirez, e al Commissario Straordinario dell’Azienda Ospedaliera ‘Ospedali Riuniti Villa Sofia-Cervello’, Roberto Colletti. Breve premessa per ricordare che oggi l’ospedale pubblico ‘Cervello’ è in grande affanno, smembrato da una politica miope che ha trasformato questo ospedale nella ‘ruota di scorta’ dell’ospedale ‘Villa Sofia’. Basti pensare che negli ultimi anni all’ospedale ‘Cervello’ sono stati smantellati i reparti di Neurologia, Urologia, Oculistica, Chirurgia toracica, Chirurgia vascolare, Chirurgia maxillo facciale e perfino Ortopedia. Lo smantellamento del reparto di Ortopedia in un ospedale che si ritrova a ridosso di un’autostrada è un esempio di irrazionalità, visto che dovrebbe essere l’aria di primo soccorso in caso di incidenti automobilistici. Il clima di abbandono che si respira all’ospedale ‘Cervello’ è segnato anche dal disinteresse verso la dimensione spirituale: dopo anni di chiusura la Cappella è stata sì riaperta ma non si celebra ogni giorno la Santa Messa e non si nota la presenza della Chiesa Cattolica nelle corsie. E’ così difficile in questo ospedare avere un po’ più di sensibilità per chi crede in Dio? Diverso lo scenario a Villa Sofia dove l’aspetto spirituale è invece molto curato grazie anche ai volontari.

La lettera del segretario del segretario del sindacato Cimo, Giuseppe Bonsignore, ai vertici della Regione siciliana

La crisi di questo ospedale, lo ribadiamo, è cominciata nel 2008, quando il Governo regionale di Raffaele Lombardo, tre anni prima dell’arrivo del disastroso Governo nazionale di Mario Monti, ha unificato gli ospedali di ‘Villa Sofia’ e ‘Cervello’ in un’unica Azienda ospedaliera, condannando lo stesso ospedale ‘Cervello’ a una crisi senza fine. Ma andiamo con ordine. Iniziamo con la lettera del segretario del sindacato dei medici Cimo. Scrive Bonsignore: “Porre in essere urgentemente i lavori di ristrutturazione necessari per la riqualificazione dell’area di emergenza del presidio ospedaliero ‘Vincenzo Cervello’ e, nelle more, accorpare momentaneamente gli organici sul solo presidio ospedaliero di Villa Sofia, al fine di ottenere un numero adeguato di medici per garantire turni di servizio completi, con personale numericamente adeguato a fronteggiare le esigenze dei pazienti, poter concedere i dovuti periodi di riposo e di congedo e successivamente avviare una nuova campagna di reclutamento, sfruttando le condizioni più favorevoli. Gli interventi – aggiunge Bonsignore – sono necessari all’effettivo rilancio dell’offerta di salute che deve garantire una struttura, attualmente considerata strategica per la città metropolitana di Palermo, per tentare di restituire il giusto potenziale di attrazione nei confronti dei medici in cerca di impiego e cercare di porre un argine al fenomeno della ‘fuga’ del personale sanitario dalle aree di emergenza”. Il sindacato Cimo fa riferimento al fatto che i medici di Pronto Soccorso, se trovano un’alternativa al posto dove lavorano, non ci pensano due volte ad andare via.

La carenza di personale medico

Il sindacato dei medici Cimo fa il punto della situazione: “I due Pronto Soccorso per adulti dell’Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti Villa Sofia-Cervello – evidenzia Bonsignore – continuano a soffrire di una cronica carenza di personale medico che ha raggiunto livelli estremi negli ultimi anni. A fronte di una dotazione organica che dovrebbe prevedere complessivamente 59 dirigenti medici, come risulta dal piano triennale di fabbisogno 2023-2025, prestano servizio in atto solo 25 dirigenti medici, alcuni di essi soggetti a delle limitazioni che oggettivamente ne impediscono il pieno impiego, a questi numeri si devono aggiungere 6 contratti libero-professionali al Presidio ospedaliero Villa Sofia. Di fatto manca oltre il 50% del personale medico previsto dalla dotazione organica. Tra i due presidi – continua Bonsignore – in questo momento la situazione peggiore la subisce il Pronto Soccorso del presidio ospedaliero ‘Cervello’, con un numero effettivo di 12 dirigenti medici, sui 26 previsti da dotazione organica. Alcuni dirigenti medici hanno di recente rinunciato al loro incarico, per trovare impiego in altri Pronto Soccorso della stessa città, dove, con organici più pieni, si riescono a garantire condizioni di lavoro migliori, con turni più sostenibili e periodi di riposo adeguati, ma anche complessivamente la percezione di un minor rischio clinico. Nonostante la drastica riduzione del numero degli accessi al Pronto Soccorso del ‘Cervello’, passati dai quasi 28.000 del 2018 (era “pre-Covid”) ai circa 17.000 del 2023, ai 5000 nei primi 4 mesi del 2024 che in proiezione indicano un’ulteriore decremento su base annua (stima prevista 15.000 accessi/anno), occorre evidenziare che il fattore maggiormente determinante per il rischio clinico in area di emergenza è il sovraffollamento, che è quasi del tutto causato dallo stazionamento dei pazienti in attesa di ricovero e dai pochi medici pronti a gestirli”.

Pazienti penalizzati

“Il risultato finale – sottolinea sempre il segretario del sindacato Cimo – è che i medici che prestano servizio in Pronto Soccorso hanno il compito di gestire, per di più in locali non idonei, non meno di 50 pazienti per turno, che restano in aera di emergenza in attesa di posto letto”. Bonsignore fa riferimento al fatto che, a causa della mancanza di posti letto nei reparti dell’ospedale, i pazienti in attesa di ricovero rimangono nello stesso Pronto Soccorso del ‘Cervello’ dove vengono seguiti dagli stessi medici del Pronto Soccoro per un periodo compreso fra quattro e sette giorni. Tutto questo, lo ribadiamo, perché nei reparti dell’ospedale ‘Cervello’ mancano i posti letto. “Gli stessi medici del Pronto Soccorso – scrive sempre Bonsignore – inoltre devono garantire il servizio di ‘front-line’ per i nuovi accessi, servizio che viene in questo modo pesantemente penalizzato, con un inevitabile allungamento dei tempi di attesa in triage”. Il segretario del Cimo tocca un punto critico: i medici del Pronto Soccorso del ‘Cervello’, che già sono pochi, debbono occuparsi contemporaneamente dei pazienti ricoverati in attesa di trovare i posti letto e dei nuovi pazienti che arrivano in Pronto Soccorso. Questi ultimi, ovviamente, vengono penalizzati non per responsabilità dei medici – come pensano certi pazienti che qualche volta vanno in escandescenze perché stanchi di aspettare troppo tempo – ma perché i medici del Pronto Soccorso sono troppo pochi. I cittadini che sono costretti ad aspettare ore ed ore prima di essere visitati dovrebbero prendersela con i politici, non certo con i medici e gli infermieri.

Ma un medico al triage no?

E’ oggettivo che i nuovi pazienti che arrivano al Pronto Soccorso del ‘Cervello’ vengono penalizzati: “I tempi di attesa dei pazienti potenzialmente critici – scrive Bonsignore – in codice giallo, che dovrebbero essere non superiori ai 20 minuti, hanno superato in certi casi anche le 10 ore. Gli infermieri del triage, deputati alle rivalutazioni delle condizioni cliniche delle file interminabili di pazienti, non riescono, dal canto loro, ad eseguire le rivalutazioni nei tempi previsti e i pazienti rischiano, in questo modo, di non essere presi in carico anche per molte ore, con il conseguente incremento del fenomeno dell’abbandono delle aree di emergenza, dopo il primo accesso in triage, che nel Pronto Soccorso del Presidio ospedaliero ‘Cervello’ ha raggiunto che il 30% del totale degli accessi. È ovvio che questo sistema non consente di garantire un livello di assistenza neppure minimo e i pazienti rischiano di subire anche gravi ritardi diagnostico-terapeutici e non trovano risposta alla loro richiesta di salute. Si configura – conclude Bonsignore – uno scenario estremamente critico, che né i medici che prestano servizio in sala
visite, né gli infermieri riescono a fronteggiare efficacemente”. Per la cronaca, il triage è un processo di selezione dei pazienti effettuato da personale qualificato che permette l’identificazione, la valutazione e la classificazione dei bisogni dei pazienti che si presentano al Pronto Soccorso sulla base di criteri prestabiliti attraverso l’utilizzo di una scala di priorità. Va sottolineato che al triage dovrebbe essere presente almeno un medico, oltre agli infermieri: invece al Pronto Soccorso dell’ospedale ‘Cervello’ l’attività del triage viene svolta dai solo infermieri. I quali, ovviamente, se hanno dei dubbi si rivolgono ai medici. Succede così che il medico che si sta occupando di pazienti anche gravi deve trovare il tempo di dialogare con gli infermieri del triage senza vedere i pazienti presenti nel triage! Ribadiamo: questo problema – che non è secondario ma fondamentale: decidere se un paziente va inserito tra i codici rossi o tra i codici gialli non è una cosa da nulla: anzi! – si risolve soltanto con la presenza di un medico nel triage (che peraltro potrebbe accuparsi anche dei codici bianchi: pazienti che non presentano condizioni critiche e non necessitano di ulteriori prestazioni diagnostiche). Ma, a quanto pare, all’ospedale ‘Cervello’ di Palermo non c’è nemmeno la possibilità di avere un medico nel triage.

In Francia la sanità ha a disposizione il doppio dei fondi rispetto all’Italia. La Germania per la sanità disponne del triplo dei fondi rispetto all’Italia. Perché il numero chiuso nelle facoltà di Medicina è un falso problema

Il problema del Pronto Soccorso dell’ospedale ‘Cervello’ di Palermo – che riguarda anche altri Pronto Soccorso della Sicilia e dell’Italia – è dovuto alla carenza di fondi. Per provare a illustrare quello che cosa succede bisogna partire da un semplice raffronto fra l’Italia e due Paesi europei in materia di finanziamento della sanità. In Italia, Paese di 60 milioni di abitanti, il Fondo sanitario nazionale ammonta a 130 miliardi di euro all’anno. La Francia, che ha un numero di abitanti pari a poco meno di 68 milioni, spende ogni anno per la sanità 270 miliardi di euro. In pratica, la Francia, per la sanità, ogni anno, ha a disposizione il doppio dei fondi dell’Italia. La Germania, che ha un numero di abitanti pari a poco meno di 84 milioni, ogni anno ha a disposizione, per la sanità, 400 miliardi di euro. Fatti quattro conti, i cittadini tedeschi hanno a disposizione, per la sanità, il triplo dei fondi rispetto all’Italia. La questione finanziaria è fondamentale nella gestione della sanità. Non a caso i medici pubblici italiani sono tra i meno pagati d’Europa e quando possono scappano via dall’Italia. Siamo sicuri che la carenza di medici in Italia sia il frutto del numero chiuso nelle facoltà di Medicina? Chi ne dubita non sembra avere tutti i torti. Aumentare il numero dei medici in Italia, nelle attuali condizioni economiche e sanitarie, alla luce anche del contesto economico-finanziario Ue, significherebbe, in buona parte, formare dei nuovi medici che andrebbero a lavorare fuori dall’Italia. Per il nostro Paese non sarebbe un grande investimento. O no?

Le retribuzioni dei medici di Pronto Soccorso sono troppo basse: è questo il motivo per il quale i concorsi vanno deserti

Esageriamo? Non esattamente. Proviamo a illustrare il perché ponendo una semplice domanda: che senso ha pagare un medico di Pronto Soccorso 2 mila e 700 euro al mese? Si tratta di una retribuzione troppo bassa per un lavoro che in Italia è diventato pesante e, soprattutto, rischioso. Perché prestare servizio in un Pronto Soccorso dove mancano medici e, spesso, anche con attrezzature carenti, è rischioso. Quando i manager delle Aziende ospedaliere giustificano l’assenza di medici dai Pronto Soccorso dicendo che i concorsi vanno deserti dovrebbero aggiungere il perché tali concorsi vanno deserti. I concorsi per i medici di Pronto Soccorso vanno deserti perché le retribuzioni sono basse. Basterebbe aumentare le retribuzioni in modo consistente e il problema verrebbe superato. Ma questo non avviene per motivazioni che sono di natura diversa tra Centro Nord da una parte e Sud e Sicilia dall’altra parte. Nel Centro Nord i fondi della sanità vanno verso i privati: non a caso, come racconta la meritevole trasmissione televisiva Fuori dal coro di Mario Giordano (foto sotto tratta da Mediaset Infinity) nel Nord Italia ci sono ormai Pronto Soccorso privati e medici di base privati. E’ evidente che nel Centro Nord Italia i cittadini possono pagare 50 euro per la visita con un medico che sostituisce il medico di famiglia e 150 euro per una prestazione di Pronto Soccorso (anche se non abbiamo capito dove vengono ricoverati i pazienti che pagano 150 euro per una visita di Pronto Soccorso: in un ospedale privato o in una struttura sanitaria pubblica? Questo andrebbe spiegato meglio). Nel Sud e in Sicilia dubitiamo che i cittadini abbiano la possibilità e la voglia di pagare 150 euro per una visita in Pronto Soccorso (e anche 50 euro per una visita da un medico di famiglia privato). Va detto – e qui sta la differenza con il Centro Nord Italia – che nel Sud e in Sicilia ci sono Pronto Soccorso dove un medico deve occuparsi, contemporaneamente, di quattro codici rossi, mentre negli uffici amministrativi ci sono stanze con quattro impiegati che si occupano di certificati! E’ chiaro che con na gestione clientelare del personale amministrativo e in generale non medico, la sanità pubblica di Sud e Sicilia non potrà che andare a sbattere.

Siamo sicuri che la sanità siciliana abbia ogni anno a disposizione 9 miliardi e mezzo circa di euro? Siamo sicuri che la politica nazionale e siciliana non utilizzino una parte dei fondi della sanità siciliana per pagare altre spese?

Siamo arrivati a uno dei punti nodali della crisi della sanità siciliana. In Sicilia chi ‘mastica’ un po’ di economia e di sanità pubblica sa benissimo i 9 miliardi e mezzo di euro destinati alla sanità siciliana sono una grande bugia. Dal 2009, a causa di un raggiro del Parlamento nazionale avallato dalla remissiva politica siciliana, lo Stato e la Regione siciliana pagano, grosso modo, il 50% delle spese sanitarie a testa. Lo Stato dovrebbe pagare poco più di 4 miliardi e mezzo di euro ogni anno e la stessa cosa dovrebbe fare la Regione. Usiamo il condizionale perché nutriamo dei dubbi. Noi non escludiamo che né lo Stato, né la Regione mettano a disposizione della sanità siciliana poco più di 4 miliardi di euro a testa ogni anno. Tanto per cominciare, va precisato che la parte di finanziamento dello Stato della sanità siciliana per circa il 50% è Irap: e l’lrap è un’imposta pagata dalle imprese siciliane: quindi non sono fondi statali. Lo Stato, alla fine, finanzia la sanità siciliana con poco più di 2 miliardi e mezzo l’anno. Siamo sicuri che questi soldi vengano erogati? Dubbi anche sulla Regione: siamo sicuri che la stessa Regione siciliana impieghi poco più di 4 miliardi e mezzo di euro per pagare le spese sanitarie e non ‘distragga’ una parte di tali fondi per pagare altre spese? Ricordiamoci che lo ha già fatto, per giunta in forza di una legge regionale approvata dall’Assemblea regionale siciliana nel 2016: 280 milioni di euro all’anno scippati al Fondo sanitario regionale. Una porcata bloccata dalla Corte dei Conti e dalla Corte Costituzionale nel 2022. Perché abbiamo il dubbio che né lo Stato, né la Regione rispettino i parametri di finanziamento in favore della sanità siciliana? Per un motivo semplicissimo: perché da un decennio o giù di lì i medici che vanno in pensione dagli ospedali pubblici siciliani e, in generale, dalle strutture sanitarie pubbliche della nostra Isola vengono sostituiti solo in parte, o non vengono affatto sostituiti: non a caso mancano medici nei reparti e nei Pronto Soccorso.

Il Governo nazionale e il Governo siciliano la smettano di utilizzare il Fondo sanitario regionale come un ‘bancomat’ e i problemi – a cominciare dal Pronto Soccorso del ‘Cervello’ – si risolveranno

Concudendo il nostro approdofimento che soluzioni proporre? Con tutto il rispetto per il segretario del sindacato Cimo, che ha il merito di aver sollevato un grande problema, la proposta di accorpare i Pronto Soccorso di Villa Sofia e dell’ospedale ‘Cervello’ non ci sembra la soluzione migliore. Con il nuovo Patto di Stabilità approvato nei giorni scorsi dal Parlamento europeo l’Italia dovrà pagare, per i prossimi otto anni, una cifra che andrà da 10 a 18 miliardi di euro all’anno. Che si aggiungeranno ai circa 90 miliardi di euro all’anno che l’Italia paga solo per interessi su un debito pubblico: un debito pubblico che, per l’80%, è truffaldino, se è vero che, cinque anni fa, l’Italia aveva già pagato 4 mila miliardi di euro di soli interessi sul debito pubblico (come potete leggere qui), quando il debito pubblico italiano nel 2019 non superava i 2 mila miliardi di euro. Non c’è bisogno di essere grandi economisti per capire che nell’attuale sistema economico-monetario Ue c’è qualcosa che non va. Oggi, con un debito pubblico di quasi 3 mila miliardi di euro, con i nuovi oneri introdotti dal nuovo Patto di Stabilità, chiudere il Pronto Soccorso dell’ospedale ‘Cervello’ sarebbe sbagliatissimo, perchè fra tre anni e forse meno si riproporrebbe il problema per il Pronto Soccorso di Villa Sofia, se è vero che dal 2011 ad oggi il 30% e forse più dei fondi per pagare gli interessi sul debito pubblico italiano sono stati tolti al Fondo sanitario nazionale. Fra tre anni chiuderemo anche il Pronto Soccorso di Villa Sofia e magari anche altri Pronto Soccorso come stanno facendo nel Centro Nord Italia? La vera soluzione, lo ribadiamo, è aumentare le retribuzioni per i medici che lavorano nei Pronto Soccorso. Il Governo nazionale e il Governo siciliano la smettano di utilizzare il Fondo sanitario regionale come un ‘bancomat’ e i problemi – a cominciare dal Pronto Soccorso del ‘Cervello’ – si risolveranno.

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *