Gesù definisce se stesso “Buon Pastore” e smaschera le autorità giudaiche perché, a differenza di loro, non sarebbe fuggito alla vista del lupo lasciandogli sbranare le pecore

di Frate Domenico Spatola

Commento al Vangelo della Quarta Domenica di Pasqua (anno B): Giovanni 10, 11-18
Foto tratta da Parrocchia San Francesco d’Assisi – Marina di Cerveteri

11 Io sono il buon pastore; il buon pastore dà la sua vita per le pecore. 12 Il mercenario, che non è pastore, e al quale non appartengono le pecore, vede venire il lupo, abbandona le pecore e si dà alla fuga (e il lupo le rapisce e disperde), 13 perché è mercenario e non si cura delle pecore. 14 Io sono il buon pastore, e conosco le mie, e le mie conoscono me, 15 come il Padre mi conosce e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16 Ho anche altre pecore, che non sono di quest’ovile; anche quelle devo raccogliere ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge, un solo pastore. 17 Per questo mi ama il Padre; perché io depongo la mia vita per riprenderla poi. 18 Nessuno me la toglie, ma io la depongo da me. Ho il potere di deporla e ho il potere di riprenderla. Quest’ordine ho ricevuto dal Padre mio».

“Io sono” equivaleva a “Iahvè” che, per gli Ebrei, era il nome santo di Dio. Con stessa dicitura perciò Gesù rivendicava per sé l’identità divina. Quello era infatti il nome, con cui Dio si presentò a Mosè, per dichiararsi a fianco del suo popolo. Gesù si definì “Buon Pastore”. L’aggettivo greco non era tuttavia “agathòs” ma “kalòs”, che meglio diceva bellezza e soprattutto “unicità”. Dunque il Pastore atteso era l’eccellente. Le autorità giudaiche si allarmarono, gelosi da arrogarsi quel ruolo. Gesù li smascherò perché, a differenza di loro, non sarebbe fuggito alla vista del lupo, lasciandogli sbranare le pecore. Egli lo avrebbe affrontato a rischio della vita. L’immagine del pastore e delle pecore era stata adottata cinque secoli prima dal profeta Ezechiele per descrivere il rapporto tra Dio e il suo popolo. Gesù la recuperò per sé, superandola, perché egli non si sarebbe limitato a proteggere il gregge, ma ne avrebbe prevenuto i bisogni, anche rischiando la vita. Bollò perciò gli avversari da “mercenari” e affaristi, e suo vanto fu quello di “conoscere” le sue pecore. Elegiaca la descrizione della intimità con loro. Stessa “conoscenza” infatti che relaziona il Padre al Figlio. Annunciò infine aperto agli immensi orizzonti il suo gregge, abolendo gli steccati dell’unico ovile. Garantita dal Padre fu infine la vita piena offerta a chi dava la sua per amore, coerente sua eredità evangelica: “Si possiede ciò che si dona”.

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