Gesù e la metafora del recinto che costodisce le pecore: e spiega di essere venuto affinché le sue pecore “abbiano la vita in abbondanza”

di Frate Domenico Spatola

22 Aprile 2024, Lunedì della quarta settimana di Pasqua: Giovanni 10,1-10

Il recinto custodiva le pecore per la notte. Al mattino il pastore legittimo bussava alla porta a rilevare le proprie pecore, mentre chi le voleva rubare scavalcava da un’altra parte, perchè ladro e brigante. Al vero pastore il guardiano apriva, ed egli chiamava le sue pecore, ciascuna per nome, per condurle fuori. Avrebbe camminato innanzi e le pecore lo avrebbero seguito, perché ne conoscevano la voce, mentre dall’estraneo sarebbero fuggite non conoscendone la voce. Era la similitudine con la quale Gesù si confrontava con i capi dei Giudei, ma essi non capirono. Allora Gesù replicò, definendosi “la porta delle pecore”. Prendeva l’immagine da quella che nel tempio introduceva le pecore alla mattanza per i sacrifici. Egli si proponeva quale via per la loro salvezza e libertà. Definiva “ladri e briganti” quanti erano venuti prima di lui a governare le pecore (ossia il popolo) per opprimerle. Era perciò la sua sfida ai capi di Israele, ma, con orgoglio, Gesù ricordava che le pecore non li avevano ascoltati. “Porta” era anche il titolo che si riconosceva ogni maestro che introduceva i discepoli alla conoscenza della verità e alla vita. Necessario dunque passare attraverso Gesù (“Io sono la Porta”), per essere salvati, egli avrebbe consentito libertà per uscire e trovare pascolo. Dal ladro invece ci si poteva aspettare solo uccisioni e distruzioni, Gesù rivendicava di “essere venuto perché le sue pecore abbiano la vita in abbondanza”.

Foto tratta da La Luce di Maria

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