Santa Rosalia e “l’acchianata” per liberare Palermo da altre pesti quali disoccupazione e criminalità mafiosa

di Frate Domenico Spatola

La peste di Palermo e l’apparizione al cacciatore

La Santuzza e “l’acchianata”. Tutta una “acchianata” (la salita) sul monte che ai Palermitani parla di Rosalia Sinibaldi, che dall’eremo della Quisquina, in provincia di Agrigento, vi si recò. Il monte porta il nome dell’emiro islamico che, qualche secolo prima, era stato “pellegrino” alla Mecca. Tante voci sulla Santa del XII secolo, del tempo dei re normanni, e forse anche “dama di compagnia” alla corte della regina Margherita. Scarne dunque e sussurrate le notizie della sua biografia, congiuntamente a quelle che la dicono “monaca basiliana” che, nella solitudine della montagna, volle vivere la sua verginità con fede nuziale a Cristo, suo mistico Sposo. Il silenzio sull’idillio, da lei preteso, durò secoli fino al 1624, quando parlò in sogno al cacciatore, e da quel momento fa rumore. Palermo era in lutto disperato e ogni famiglia piangeva il suo “morto di peste”. I monatti, con carri cigolanti sinistramente, transitavano su e giù per il Cassaro, ininterrottamente, odiati ma continuamente chiamati a rilevare dalle case i cadaveri, e subito invitati a tornare per gli altri morti di lì a poco. A Palermo da ogni cantone si levavano grida e lacrime. Il cacciatore, come da leggenda, seppe in sogno da Rosalia dove rinvenire le sue miracolose reliquie sul monte. Il quella grotta, oggi il posto è occupato dalla statua marmorea che la ritrae, in leggiadre fattezze, distesa e con i segni del suo vissuto: il Crocifisso, suo amore, e il Vangelo. Visibili sono anche i simboli della sua conversione, compreso il cranio a riflettere sull’effimero delle cose. Erano “i segni” che supportavano la spiritualità medievale, con il motto “memento mori” (ricordati che devi morire), alimentando così ansie di Cielo.

Quando Santa Cristina dovette fare un passo indietro

Dissotterrate le reliquie, il Senato palermitano e il Popolo ne chiesero la translazione per le vie cittadine. Incuranti che anziché togliere la peste, l’avrebbero potuto favorire. Ma la fede nella Santa – dicono le Cronache – ebbe ragione. E Palermo dal 15 luglio 1624, fu salva. Oggi la città e con tutto l’interland aspira ad essere liberata da altre pesti quali la disoccupazione che fa emigrare i giovani in cerca di lavoro; lo sciacallaggio e ogni manovalanza mafiosa col “pizzo” che tarpa le ali a ogni onesto imprenditore e, non ultima, la droga ch’è diffusa tra le fasce più deboli della società. Non si poté contenere l’entusiasmo della gente, che volle Rosalia come sua “patrona”. Santa Cristina, detentrice fino a quel momento del titolo, dovette fare una passo indietro e consegnare il testimone a colei che fu vista “Paladina dei Palermitani”. Da allora “l’acchianata” al Monte che fu della Santa, è l’occasione annuale per una catartica purificazione. Il panorama sulla città, a ogni svolta del percorso, la rende da sogno, vicina e lontana, con i problemi che ogni anno rinnova. Ma l’appuntamento è con lei, per potere, almeno una volta l’anno, dimenticarli o affidarli alla Santuzza che saprà come fare per risolverli.

Foto tratta da la Repubblica Palermo

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